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Il governo francese ha presentato una proposta di legge per chiudere i siti internet pro-life.
Il Presidente dei Vescovi francesi ha scritto una lettera pubblica e la cosa segna indubbiamente la gravità del momento.
Si tratta di un processo che procede sempre più velocemente verso la dittatura del relativismo.
Per combattere questo processo è indispensabile tuttavia coglierne il senso profondo.
La proposta del governo francese è perfettamente coerente con i presupposti della cultura del modernismo individualista.
Non è stato un errore di percorso.
Oggi gli Stati non si limitano più a considerare le violazioni di principi non negoziabili della morale naturale come delle eccezioni.
L’aborto, l’eutanasia, la fecondazione eterologa sono considerati un diritto umano.
Così come il diritto di espressione, quello di cambiare la propria residenza oppure di accedere a cure sanitarie di base.
La donna ha diritto ad uccidere il bimbo che porta in seno, il medico avrà il diritto di uccidere il malato terminale che, magari quando era ventenne, aveva firmato una dichiarazione anticipata di trattamento o, perfino in assenza di questa, interpretando che così avrebbe voluto lui (non è successo così anche per Eluana Englaro?), la coppia che vuole figli con la fecondazione in vitro ha diritto di sacrificare un certo numero di embrioni umani.
Ora, se si tratta di diritti umani lo Stato li deve regolamentare, proteggere, promuovere, e ad essi deve anche educare i cittadini.
Tra questi compiti dello Stato figura senz’altro anche quello di contrastare tutti coloro che ne vogliono limitare l’esercizio.
Quelli – per esempio - che vogliono dissuadere la donna ad abortire violando la sua libertà di coscienza.
Se abortire è un diritto umano contemplato dalla legge e protetto dai pubblici poteri, cercare di impedire di abortire è un reato che lo Stato deve prevenire e punire.
Se il contrario dei principi non negoziabili è qualcosa di non negoziabile, è perfettamente coerente che lo Stato chiuda i siti internet pro-life.
Gli si può rimproverare un errore logico a monte: negare i principi non negoziabili fino al punto da affermare come non negoziabile il contrario, ma dato quell’assunto tutto ciò che ne deriva è perfettamente coerente e logico.
Uno Stato che prima riconosce dei diritti umani e poi non li difende da chi li contrasta o impedisce è un voltagabbana.
Questa è la situazione tragica da denunciare, altrimenti si rimane nella logica perversa di questo stesso processo culturale.
L’opposizione dovrebbe riguardare l’origine stessa del tentativo di rovesciare la morale naturale e rendere diritto ciò che è torto, bene ciò che è male.
La polemica contro queste forme di arroganza di Stato dovrebbe risalire fino alle origini, fino alle leggi che consentono l’aborto e che distruggono gli stessi presupposti della convivenza civile.
Accade invece che l’opposizione si limiti a rivendicare la libertà di espressione come diritto soggettivo.
Oscurare i siti pro-life non vorrebbe dire rendere obbligatori i principi non negoziabili, ma semplicemente impedire l’espressione democratica dei cittadini.
Al centro della critica al governo, non viene messo il diritto a nascere del concepito, ma la possibilità che le donne, anche con l’aiuto di questi siti pro-life, si informino meglio.
La scelta di abortire non è definita in ogni modo cattiva, ma la si presenta come una scelta difficile e problematica per la donna, sicché qualche parola di conforto da parte di siti pro-life sarebbe di aiuto.
In questo modo si pensa di prendere in contraddizione lo stato laico e democratico:
come? tu che ti dici democratico non permetti la libertà di espressione?
Come? tu che ti dici laico, imponi una tua visione assoluta e non lasci libertà ai cittadini?
Ma si tratta, così facendo, di cadere invece nella stessa logica che si vorrebbe combattere.
Il problema è proprio la libertà di scelta, non vincolata al bene e al vero.
Quella libertà di scelta che lo Stato oggi proclama come diritto assoluto e, per difenderla, è costretto a contemplare il diritto al male.
Criticarlo solo sul terreno delle libertà di scelta democratiche, e non sui loro fondamenti, significa rientrare nel suo stesso gioco.
Stefano Fontana, per
[www.vanthuanobservatory.org]
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E’ ufficiale: la ministra Fedeli non ha neanche il diploma di maturità
Dopo le dichiarazioni del neoministro all’Istruzione Valeria Fedeli di poter fare tranquillamente la ministra senza avere la laurea è intervenuto Mario Adinolfi, ex Direzione Nazionale del PD, il quale affidandosi a facebook ha affermato che non solo la ministra non ha la laurea ma non ha nemmeno il diploma di maturità.
Insomma per la prima volta – andiamo a memoria – nella storia della Repubblica, il ministro che deve dare le linee politiche all’Istruzione sia alla scuola che all’università non solo non è in possesso della laurea che “erroneamente” aveva dichiarato nel suo CV, ma non ha nemmeno il diploma.
E’ inutile dirvi che sul web oltre all’ironia feroce tipica degli utenti della rete si sta registrando l’indignazione dei docenti che chiedono le dimissioni immediate del ministro.
Siamo sicuri che la neoministra all’Istruzione non abbia nemmeno il diploma?
Il quotidiano Libero si dice sicuro: non ha il diploma.
Il giornale ha contattato lo staff della ministra Fedeli chiedendo se le affermazione di Mario Adinolfi corrispondessero al vero.
Lo staff – scrive il quotidiano – “non ha potuto far altro che confermare le parole di Adinolfi. Il corso frequentato – sottolineano dallo staff – è quello triennale della Scuola magistrale. E alla fine del percorso di studio non è previsto l’esame di maturità. Inoltre affermano, sempre dallo staff, che in questo caso il ministro non ha mai inserito nel Cv informazioni imprecise su questo punto”.
Da:
[www.informazionescuola.it]
ELENA DONAZZAN ASSESSORE SCUOLA DEL VENETO:
A NEO MINISTRO FEDELI DICO:
"NO A TEORIA GENDER IN CLASSE, IL VENETO CONTRARIO A OGNI FORZATURA IDEOLOGICA"
14 Dicembre 2016 14:40
Il Veneto si è già espresso chiaramente, ai massimi livelli istituzionali, contro l'insegnamento a scuola di teorie 'gender' che destrutturano la famiglia naturale. Sappia il nuovo ministro che vigileremo, che scuole e genitori terranno alta la guardia nel segnalare alla Regione ogni eventuale forzatura che dovesse avvenire nei luoghi deputati all’educazione pubblica di bambini e ragazzi.
Quanto appreso dalle cronache in merito al neo ministro Valeria Fedeli, alla quale è stata affidata la massima carica per l'Istruzione in Italia mi preoccupa moltissimo.
La principale posizione politica che pare caratterizzare il profilo dell'ex sindacalista della CGIL, è la sua propensione a diffondere nelle scuole la teoria del genere. Al nuovo ministro ricordo che la Regione Veneto, che ispira la propria azione amministrativa alla promozione della famiglia naturale, fondata sull'unione tra uomo e donna , che ha pubblicamente aderito al Family day e che ha formalmente impegnato i precedenti governi a non applicare il documento standard dell'Oms per l'educazione sessuale in Europa, terrà alta l'attenzione su ogni eventuale intervento ministeriale diretto a veicolare nelle scuole teorie ideologiche che considera pericolose per una corretta educazione all'identità di genere e alla tutela del valore costituzionale della famiglia naturale.
Che il nuovo ministro parta male è oggi oggetto della cronaca ma mi auguro non voglia usare una carica delicata come il dicastero all'Istruzione per piantare bandierine ideologiche che mirano a cambiare i connotati culturali del popolo italiano!
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Cos'è la scuola familiare
Su Genitori Channel la scuola familiare sappiamo cos'è, perché l'abbiamo scelta per i nostri figli.
Nella foto dell'articolo un gruppo di bambini della scuola familiare al museo.
Vi racconteremo la nostra esperienza, intanto sveliamo cos'è la scuola familiare, o home schooling, se è legale, come funziona...
Scuola familiare...che cos'è?
Il termine scuola familiare e tutti i suoi sinonimi (scuola parentale, istruzione parentale, istruzione familiare, home-schooling) definiscono un tipo di apprendimento non strutturato in cui i genitori si prendono in prima persona la responsabilità dell'istruzione dei propri figli.
Istruire i propri figli è un dovere dei genitori, essi scelgono come poterlo assolvere: tramite la scuola pubblica, tramite la scuola privata (parificata e non) oppure occupandosene direttamente, con l'aiuto di persone scelte da loro stessi, in condivisione con altri genitori oppure personalmente.
Ma è legale?
Art 30 della costituzione:"E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.[...] "
La costituzione italiana sancisce che il dovere di istruire i figli spetta quindi ai genitori.
Pochi infatti sanno che la "scuola dell'obbligo" è un termine improprio che si riferisce all'obbligo di istruzione. I bambini hanno quindi il diritto ad essere istruiti e la responsabilità di questa istruzione ricade sui genitori che possono decidere di avvalersi o meno di strutture scolastiche per assolvere questo obbligo.
Lo stato, riconoscendo il diritto dei bambini ad essere istruiti, mette a disposizione di tutti le strutture pubbliche affinchè tutti possano accedervi e per garantire che le differenze economiche e culturali non penalizzino l'istruzione di alcuni bambini meno fortunati di altri (almeno in teoria).
Come vengono istruiti i bambini nella scuola familiare?
Vi sono molti modi di fare scuola familiare, essendo un percorso perlopiù costruito dalla famiglia sul singolo bambino. Alcune famiglie seguono molto dettagliatamente i libri e i metodi scolastici ma la maggior parte costruisce un percorso personalizzato seguendo le naturali inclinazioni del bambino, gli orari e i ritmi familiari, il luogo in cui si vive, le disponibilità economiche che possiede, ecc. ecc.
Vi sono famiglie che formano piccole scuole familiari in cui i genitori si alternano nella cura e nell'istruzione dei bambini oppure invitano degli insegnanti che insegnino specifiche materie. Altre famiglie ripongono totale fiducia nell'apprendimento naturale e scelgono di non seguire metodi didattici (il cosiddetto un-schooling).
Si dice che ci siano tanti modi di fare scuola familiare quante sono le famiglie che lo scelgono.
Ma i bambini imparano davvero?
Ormai sappiamo che il cervello impara molto di più quando viene stimolato emotivamente.
I bambini imparano molto di ciò che servirà loro nel futuro direttamente nella vita familiare o sociale e sappiamo che, quando sono incuriositi o attirati da qualcosa riescono ad apprendere molto più velocemente.
La scuola familiare dà la possibilità di mantenere intatto l'entusiasmo e la curiosità tipica dei primi anni di vita, di quando il bambino comincia a gattonare e vuole esplorare il mondo. Allo stesso modo ha la curiosità di leggere e di scrivere se si trova in un ambiente culturalmente adatto (per esempio quando viene loro letto ad alta voce fin dai primi mesi di vita).
Lo stesso discorso possiamo farlo in tutte le altre aree, la matematica sarà appresa più facilmente se il bambino si trova a doverla applicare giorno per giorno nella pratica delle sue mansioni, ricorderà meglio le caratteristiche della preistoria se potrà vedere uno scheletro di dinosauro a grandezza naturale, comprenderà l'utilità dei numeri negativi guardando il termometro, e l'utilità della varietà delle misure se dovrà pesare gli ingredienti per una torta.
In America, dove il fenomeno della scuola familiare è molto più diffuso che in Italia vi sono delle statistiche molto incoraggianti, le grandi università hanno registrato una percentuale di successo ai test di ammissione compiuti dai ragazzi home-schooler doppia rispetto ai ragazzi che hanno frequentato le strutture scolastiche.
Come posso insegnare a mio figlio se non sono una maestra?
I genitori che scelgono di istruire in famiglia i propri figli non si pongono come insegnanti nei loro confronti ma come "facilitatori" aiutando i ragazzi nella costruzione di un loro metodo di studio basato sulle loro predisposizioni che sfrutti quindi i loro "lati migliori". Sarà quindi compito del genitori stimolare i figli guidandoli nella ricerca del metodo giusto mettendo a loro disposizione strumenti e risorse che il bambino potrà, man mano che cresce, consultare autonomamente per soddisfare i suoi dubbi e la sua "sete" di apprendimento.
Il compito maggiore dei genitori non è quindi quello di trasmettere delle nozioni ma quello di stimolare e rinforzare ogni giorno questa curiosità, questa volontà di sapere, questa smania di conoscere il funzionamento dei processi.
Quali sono i vantaggi?
Al di fuori della rigida struttura scolastica si aprono possibilità molto più ampie in cui i bambini possono muoversi liberamente spaziando dalla biblioteca alla mostra, dal dizionario alla vita pratica, dal documentario al viaggio.
Ogni momento, ogni gesto potrebbe potenzialmente diventare una "scusa" per apprendere.
Il tempo, libero da vincoli, può essere utilizzato nella sua totalità, dedicando allo studio alcune produttive ore e alternando con attività pratiche che altrimenti sarebbero confinate solo ai giorni di festa.
Una delle capacità che sarà più utile ai nostri figli sarà quella di trovare soluzioni creative ai problemi che si affacceranno sulla loro strada, da quelli economici-lavorativi a quelli più pratici. Attività creative e manuali come la falegnameria, la lavorazione dell'argilla, la cura dell'orto solo per citarne alcune sviluppano proprio la parte del cervello che chiamiamo "creativa", inoltre il bambino che costruisce il proprio percorso acquisisce maggiori doti di autonomia, di problem solving, di autostima e conserva intatto l'entusiasmo e la curiosità che lo porterà a scoprire tutti i "fenomeni" della vita (la lettura, la matematica, le scienze...)
E la socializzazione?
La nostra società è ossessionata dalla "socializzazione precoce", molti bambini vengono mandati all'asilo nido perchè così possono socializzare, in realtà molti studi dimostrano come il bisogno primario del bambino nei primi 3 anni di vita sia il contatto con degli adulti di riferimento, preferibilmente i genitori. Anche quando il bambino cresce spesso è più grande la preoccupazione dei genitori del loro reale bisogno di socializzare. Molto interessante a questo proposito la lettura del libro "I vostri figli hanno bisogno di voi" che parla ampiamente dei danni dell'orientamento ai coetanei tipico della nostra cultura.
Se pensiamo a come è strutturata la scuola possiamo facilmente intuire che non sia stata pensata per l'interazione serena tra pari poichè i bambini sono suddivisi per fasce d'età e hanno solo nell'intervallo la possibilità di parlare liberamente tra loro ma in quel momento nessun adulto sta creando una situazione di socializzazione e di solito i bambini più timidi si ritraggono mentre quelli più spavaldi spadroneggiano.
I bambini che vengono istruiti a casa hanno la possibilità di trovarsi in gruppi aperti dove vi sono bambini e adulti di età diverse in differenti contesti e dove si ha la possibilità, oltre al gioco libero, di praticare delle attività insieme, inoltre possono praticare degli sport o iscriversi ai campi estivi, frequentare dei gruppi a loro affini o semplicemente il parco giochi.
Come faccio a fare scuola familiare se devo lavorare?
Questo è uno dei problemi pratici in cui incorrono tutte le famiglie che scelgono la scuola familiare, ogni famiglia naturalmente ha trovato il suo equilibrio, alcuni hanno turni di lavoro diversi e i due genitori si alternano nella cura dei figli, altri hanno scelto lavori che permettono loro di passare molto tempo con i loro figli, altri ancora si sono organizzati in gruppi in cui gli adulti si suddividono il tempo dedicato all'istruzione. Alcune famiglie scelgono la scuola familiare proprio perchè il loro lavoro li porta in giro per il mondo.
Non esiste una formula magica per tutte le famiglie di homeschooler (così come non esiste per le famiglie che hanno scelto la scuola!), ognuno dovrà necessariamente fare i conti con le proprie risorse e i propri limiti oggettivi.
E' importante sapere che questa scelta esiste, che è legale, che è fattibile, che è valida, che sempre più famiglie vi si avvicinano per svariati motivi.
Da:
[www.genitorichannel.it]
Per ulteriori informazioni potete consultare:
[www.alleanzaparentale.it]
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Il vescovo di Sulmona-Valva ultima vittima del “gender diktat”
Il gender diktat ha fatto una nuova vittima illustre. E’ ora infatti il turno del vescovo di Sulmona-Valva, don Angelo Spina, il quale si trova, suo malgrado, al centro di una furiosa polemica a causa di alcune sue dichiarazioni “politically uncorrect,” rilasciate in un’intervista apparsa sul sito web “La Fede Quotidiana”.
L’intervista “incriminata”
L’unica colpa del vescovo molisano è stata quella di aver espresso le proprie considerazioni, anche in virtù del suo ruolo di pastore della Chiesa cattolica, riguardo l’indiscutibile profonda crisi nella quale versa oggi l’istituto della famiglia.
Interrogato a tale riguardo, don Spina ha puntato il dito contro due responsabili principali:
«Direi che i problemi sono due e interagiscono. Politica e clima culturale ostile remano contro la famiglia naturale fatta da uomo e donna. Partiamo dalla politica. Penso che non le attribuisca la cura che merita. In quanto al clima culturale è negativo e spesso addirittura ostile».
In particolare, ciò che ha fatto sobbalzare i paladini del verbo LGBT sono state le sue parole di denuncia nei confronti dell’asfissiante clima culturale odierno, monopolizzato da una potente e danaruta lobby, interessata ad imporre il proprio diktat ideologico con il decisivo supporto di media e stampa compiacenti:
«Oggi il mondo è impregnato da una ideologia che spaccia per diritti quelli che in realtà sono arbitrio. La stessa politica in Italia ne ha dato prova correndo per approvare la legge sulle unioni civili che certamente non erano la priorità, ma sono figlie di potenti e ricche lobby. Io non discuto i diritti individuali, ma non è possibile accostare come è stato fatto, la famiglia naturale composta da uomo e donna aperti alla vita con altri tipi di unione. Spiacevolmente anche la stampa e i media spesso danno una pessima informazione, orientata a far credere che tutto sia lecito e permesso nel nome di una falsa libertà».
Parole evidentemente scomode e troppo “forti” per la comunità LGBT+ che non ha perso tempo a scagliarsi contro don Spina, capitanata dalla stessa parlamentare PD Monica Cirinnà, che ha subito commentato così, sulla sua pagina Facebook, le esternazioni del Vescovo:
“Giorni fa ho fatto due assemblee nella sua diocesi, sale gremite da chi vuole il rispetto dell’art. 3 Cost., è uguaglianza non libero arbitrio”.
L’onorevole Cirinnà, che si vanta di aver riempito due sale in Molise per fare propaganda riguardo la legge da lei voluta sulle “unioni civili”, farebbe bene a sapere e a raccontare anche che l’intera provincia di Campobasso detiene il primato nazionale di non aver chiesto nemmeno una unione da quando la legge è entrata in vigore.
Solidarietà dai propri fedeli
In mezzo a tale pesante clima di persecuzione mediatica, monsignor Spina ha ricevuto l’appoggio e la solidarietà dei propri fedeli della concattedrale di San Bartolomeo a Bojano dove don Angelo è popolare ed amatissimo. I cittadini del piccolo comune molisano stanno utilizzando la rete Internet per cercare di far sentire il più possibile la propria voce in difesa del loro pastore attaccato ingiustamente.
Di seguito riportiamo uno dei numerosi messaggi di sostegno apparsi in rete :
“Il Vescovo di Sulmona-Valva, mons. Angelo Spina sta subendo, in queste ore, un feroce attacco mediatico ad opera di UAAR, truppe cammellate LGBT e Cirinná solo per aver ribadito il valore della famiglia naturale e tradizionale! Sosteniamolo!”.
L’UNICA VERITA? NESSUNA VERITA’
Il vergognoso attacco che sta subendo il vescovo di Sulmona-Valva rivela ancora una volta il carattere totalitario ed intollerante dell’odierno diktat etico. La dittatura LGBT+ arriva addirittura a pretendere che le proprie folli idee siano propagate ed imposte urbi et orbi con il silenzio/assenso della stessa Chiesa cattolica.
Si assiste così ad curioso e già visto paradosso, per il quale, la Cirinnà e i sostenitori di ogni tipologia di diritto, in nome del principio di non-discriminazione, negano ai rappresentanti cattolici il diritto a professare il proprio credo religioso.
Un’evidente e macroscopica contraddizione che mette in luce come il clima culturale odierno, opportunamente condannato da don Angelo Spina, sia quello di non poter proclamare alcuna verità al di fuori dell’unica verità accettata e praticabile: il non avere nessuna verità.
Rodolfo de Mattei, per
[https:]
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La gerarchia ecclesiastica italiana sembra ormai aver definitivamente divorziato dal popolo cattolico.
È l’impressione netta che si ricava dalle reazioni alla formazione del nuovo governo, e in particolare, per la nomina della senatrice PD Valeria Fedeli al ministero dell’Istruzione. Chi sia la senatrice Fedeli è noto, così come le sue crociate pro-gender nella scuola (noi ne abbiamo parlato ieri). E infatti dal momento dell’annuncio del nuovo governo si è creata una immediata agitazione nel mondo delle associazioni che hanno dato vita ai Family Day e tra i genitori già impegnati ad evitare che le scuole siano trasformate in campi di rieducazione, per usare un’espressione di papa Francesco.
«Questa scelta – ha detto per esempio Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli - ha chiaramente i toni della provocazione, se non della vendetta, verso le Famiglie del Comitato per il No, colpevoli di aver vinto il referendum». Gandolfini «assicura collaborazione per iniziative contro ogni forma di odiosa discriminazione, violenza o bullismo», ma consapevole di cosa significhi la Fedeli al Miur assicura allo stesso modo anche battaglia contro «qualsiasi tentativo di trasformare i nostri figli in cavie di sperimentazioni ideologiche».
Che a una battaglia più aspra per la libertà di educazione e per difendere i figli bisogna prepararsi (come prima e più di prima) è chiaro anche ai parlamentari che hanno già sperimentato il “metodo Renzi-Boschi”. La deputata Eugenia Roccella, di Idea, ha parlato ad esempio – e sempre riferendosi alla scelta della Fedeli - di «stesso marchio di fabbrica del precedente sui temi etici e antropologici».
Si potrebbe continuare, ma a fare più notizia in effetti è il silenzio dei vescovi italiani, o per essere più precisi della Conferenza episcopale italiana che, per statuto, si occupa dei rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano. Nulla da dire sul neo-ministro. Come interpretare questo silenzio? Sorpresa? Costernazione? Tentativo di riordinare le idee dopo un duro colpo?
Niente di tutto questo: pura e semplice connivenza con questo governo e con questa maggioranza parlamentare che – come abbiamo dimostrato nei giorni scorsi – è la più laicista e anti-famiglia della storia repubblicana. Per capire basta prendere in mano la surreale edizione di ieri del quotidiano Avvenire, organo ufficiale della CEI. Il caso Fedeli non è neanche menzionato, per Avvenire è un semplice avvicendamento che non merita più di tre parole.
In compenso l’editoriale del direttore Tarquinio, dietro al solito linguaggio clericale, esprime pieno appoggio al governo di un Gentiloni dallo «stile misurato e consapevole» (tradotto in linguaggio corrente vuol dire “siamo tutti con te”). “Il governo dei doveri” viene definito, ma invano cerchereste tra i doveri elencati dal direttore di Avvenire un pur qualche riferimento alla famiglia (peraltro scomparsa dall’orizzonte dei ministeri) o alla libertà di educazione.
Ricordiamolo quando alla prossima occasione il direttore di Avvenire cercherà di accreditare il suo giornale in prima linea nella battaglia contro l’indottrinamento gender nella scuola o a difesa della famiglia. Balle, sono ben altre le preoccupazioni che albergano da quelle parti. Né si pensi che si tratta di una scelta autonoma del direttore. Soprattutto su certi temi a decidere è l’editore nella persona di monsignor Nunzio Galantino, segretario della CEI e plenipotenziario per i media legati alla Conferenza episcopale.
La controprova? L’altrettanto surreale comunicato dell’altra creatura affidata alle soffocanti mani di monsignor Galantino: il Forum delle Famiglie. Nessuna preoccupazione emerge dal comunicato stampa che riporta le dichiarazioni del vice-presidente del Forum Maria Grazia Colombo, solo ringraziamenti al ministro uscente Stefania Giannini (quella che “la teoria gender non esiste e se lo dite ancora vi denuncio”) e grande spirito di collaborazione con il ministro Fedeli da cui ci si attende una scuola che valorizzi tutte le sue componenti. Per concludere che «siamo a sua disposizione e le auguriamo buon lavoro». Stesi a tappetino.
La gerarchia ecclesiastica dunque va per la sua strada, ci diranno che loro non fanno muri ma costruiscono ponti. La realtà è ben diversa, questa è la strada dei mercanteggiamenti politici, dell'opzione preferenziale per il PD, degli scambi per salvare l’Otto per Mille: questa gerarchia pensa evidentemente che a salvare la presenza della Chiesa in Italia siano i soldi dello Stato e non la fede e la missione. E per questo abbandona il suo popolo che invece, seppur ridotto a minoranza, intende testimoniare nella società anche difendendo la dignità umana. Come è stato per i Family Day, ad accompagnare in questo cammino ci sono almeno singoli vescovi che non abdicano al loro ruolo, ma è ben triste constatare la diserzione dei vertici e come coloro che hanno sempre sulle labbra i poveri e il popolo sono poi quelli più pronti a sostenere il potere.
Riccardo Cascioli, per
[www.lanuovabq.it]
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Sarebbe ben triste se ora ci fermassimo alla soddisfazione per la sconfitta della riforma costituzionale e del duo Renzi-Boschi.
Sì, è vero: c’è stata una vittoria schiacciante dei “No” malgrado il potente schieramento a favore del “Sì”: dalla grande industria alla stampa, dai governi europei e americano al mondo della finanza, tutti a sostenere la riforma del duo Renzi-Boschi.
Invece c’è stata una grande partecipazione e il popolo italiano ha detto "No" perché ha capito che si trattava di un cambiamento della Costituzione che avrebbe significato un ulteriore asservimento a uno Stato onnipotente e a potenze sovranazionali.
Si è trattato dunque di una esperienza significativa, il popolo italiano ha dimostrato che quando ci sono in ballo questioni sostanziali per il futuro non dà la delega in bianco a nessuno.
Ma è certo che non può finire qui, la crisi morale prima ancora che economica e sociale che si trascina ormai da decenni non si risolve con un pur importante “No” a chi voleva dare il colpo di grazia.
È a questo punto che non si può nascondere la preoccupazione quando si guarda coloro che oggi si presentano come i vincitori, la strana coalizione per il “No”.
«Una accozzaglia», li aveva definiti Renzi e in questo caso è difficile dargli torto: Salvini, Grillo, Brunetta, D’Alema, Berlusconi, Bersani, una serie di vecchi personaggi che non hanno in comune nulla se non la reazione ideologica a una persona.
È più che ragionevole temere l’inizio di un balletto politico, affermazioni piene di promesse a cui tante volte sembra non credano neanche quelli che le affermano.
Tutte cose già viste, e il rischio concreto è una nuova stagione di risse politiche che facciano perdere all’Italia un’altra occasione per imboccare una strada positiva.
In effetti l’unico vero elemento di novità – anche politica - che si è registrato è la presenza in questa “accozzaglia” di quel popolo che negli ultimi anni è intervenuto con decisione per difendere la concezione naturale della famiglia, il diritto dei genitori a educare i propri figli, la libertà di educazione.
È il popolo dei family day, che si è mosso anche in questa occasione. Non con grandi manifestazioni di piazza ma con un lavoro di sensibilizzazione città per città, piccolo comune per piccolo comune. Un lavoro che è passato inosservato sui media, ma che ha permesso di incontrare e mobilitare tante persone.
È il popolo del “Renzi, ci ricorderemo”, e si è ricordato. Non per semplice spirito di rivalsa, ma nella consapevolezza che questa riforma costituzionale avrebbe ulteriormente accelerato la discesa dell’Italia verso una legislazione contraria alla famiglia, alla vita, al rispetto della dignità umana.
Il grave errore politico di Renzi è stato l’avere sottovalutato in modo quasi da scherno questa tradizione culturale cattolica a cui evidentemente il popolo italiano è molto più legato di quanto si pensi.
Sostenuto da grandi poteri internazionali Renzi ha invece affermato una concezione materialistica e consumistica ridefinendo il concetto di famiglia, degradata a comprendere qualsiasi tipo di unione, il concetto di genitorialità, sdoganando pratiche indegne come l’utero in affitto.
Pensava che bastasse il potere delle elites per vincere, per indirizzare il popolo, e invece no.
Si è sottovalutato il peso della tradizione culturale cattolica: non nel senso di una fede oggi condivisa, ma come eredità di una Chiesa che ha veramente educato un popolo, dove la fede ha profondamente forgiato la cultura.
Così, non si può impunemente rottamare la famiglia, la sacralità della vita, la sacralità del processo che la natura ha fissato per la procreazione.
Non si può sostituire a questi valori che portano il segno dell’eterno le piccole convenienze immediate, gli interessi che maggiormente corrispondono all’istinto.
Se c’è una novità è dunque questa: la presenza di gente che ha una coscienza precisa della propria identità. Non è ovviamente tutto l’elettorato che ha votato “No”, ma i cattolici di cultura che sono andati a votare non sono neanche una quota marginale.
Il problema, come già rilevava ieri su queste colonne Alfredo Mantovano, è la mancanza di leader politici che rappresentino e guidino questo popolo.
Ma forse il problema nasce ancora prima, in una Chiesa italiana che, nella sua forma istituzionale, da tempo ha smesso di educare i cattolici alla fede e, quindi, anche a un giudizio politico che da questa nasca.
È quella Chiesa che ha contrastato i Family Day, e che non a caso ha sostenuto Renzi anche in questa tornata referendaria, pur senza dirlo apertamente.
Ma bastava leggere in queste settimane Avvenire per capire da che parte stava la Cei. Con Renzi ha perso anche quel monsignor Galantino che, alla difesa aperta della famiglia e dei nostri figli, ha preferito cercare la strada degli accordi sottobanco con il Pd, ha preferito il compromesso, poi rivelatosi un fallimento.
Ma a Renzi non è mai mancato il suo sostegno, per non parlare di quel monsignor Paglia che da presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia si è fatto registrare mentre – pensando di parlare al telefono con il vero Renzi – con una familiarità imbarazzante lo incoraggiava, a nome della Chiesa, ad andare avanti «su tutto». Ed eravamo in piena bagarre per l’approvazione della legge sulle unioni civili.
In questo tempo il popolo cattolico ha dimostrato di sapersi muovere senza aspettare il richiamo dei vescovi, ma ciò non toglie che sia importante che almeno da alcuni pastori riparta un’iniziativa educativa forte: a una fede che sappia generare cultura, capace di abbracciare tutta la realtà, di giudicare il mondo. E come conseguenza rilanciare lo studio della Dottrina sociale della Chiesa. Perché i leader politici non nascono dal nulla.
Riccardo Cascioli per
[www.lanuovabq.it]
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La nuova "ministra" alla Pubblica Istruzione è tristemente nota a chi combatte per difendere la famiglia.
Già dal 2014 è pronto al Senato un terrificante DDL (Cfr.
[www.senato.it] ) che, in pratica, rende l'ideologia omosessualista la principale materia di studio.
Questa legge, assieme a quella sul cyberbullismo, che si potrebbe chiamare "La nuova Scalfarotto", potrebbero essere le nuove mosse della strategia genderista.
Occorre tornare a combattere, su tutti i fronti: solo per gli abitanti della provincia di Bologna si segnala la raccolta di firme: 
[www.citizengo.org]
Gender a scuola – Analizziamo il ddl Fedeli
di Giovanni Lazzaretti
Vale la pena di analizzare il DDL Fedeli quando l’educazione di genere sembra ormai essersi infilata di straforo nel sistema scolastico, attraverso il voto di fiducia sulla cosiddetta “Buona Scuola”? Vale certamente la pena di analizzarlo.
Esaminiamolo dando innanzitutto il titolo esatto: “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”.
Porta la firma di Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato; i firmatari sono in tutto 40: 35 senatori del PD, 1 dei “Conservatori, Riformisti Italiani”, 1 del PSI-Autonomie, 1 del gruppo Misto-SEL, 2 del gruppo Misto.
Rileviamo fin dal titolo che si rivolge al sistema nazionale di istruzione e alle università: quindi tutte le scuole, anche le materne, anche le scuole paritarie, anche le scuole paritarie cattoliche, anche le università dove si formano i futuri formatori. Punta alle attività e ai materiali didattici: non quindi i classici “corsi opzionali”, ma un inserimento nel cuore della formazione curriculare.
Il DDL Fedeli è costituito da una lunga premessa di presentazione e da 6 articoli.
Art. 1 – Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere
Si parte nella maniera classica «per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea».
Al comma 2 si dà il primo “colpetto”: «promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza». La corporeità sessuata come superficie neutra comincia a prendere consistenza.
Art. 2 – Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere
Il sesso, citato all’art.1, sparisce. La citazione infatti serviva solo a “far credere” che si parlasse dei due sessi. Da qui in poi il sesso scompare (nei titoli non compare nemmeno) e si parla solo di genere. I numeri parlano da soli: il sesso compare 3 volte nella premessa (+ altre 5 volte in connotazione negativa: “sessismo” e simili) e 2 volte negli articoli del DDL; il genere compare 30 volte nella premessa, 4 volte nei titoli, 8 volte negli articoli.
La “parità dei sessi” è quindi il cavallo di Troia per far entrare il gender nelle scuole. I richiami continui alle linee europee (12 volte è citata l’Europa nella premessa) non lasciano dubbi in proposito.
Da adesso si parla di «linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale».
Art. 3 – Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico
«[…] corsi di formazione obbligatoria […] per il personale docente e scolastico». Indottrinamento gender obbligatorio: le organizzazioni che fanno questo tipo di corsi sono tutte di area LGBT.
Art. 4 – Università
«Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione di genere di cui all’articolo 1».
Formare i formatori è l’ovvio corollario. Chi si occupa degli “studi di genere” sono solamente gli “ideologi del gender”, e saranno i padroni dell’Università in questo campo. Se non sei ideologizzato, come puoi occuparti di questi studi, che non tengono conto delle due cose basilari del sapere, ossia la realtà osservabile e la logica?
Art. 5 – Libri di testo e materiali didattici
«A decorrere dall’anno scolastico 2015/ 2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione «Pari opportunità nei libri di testo» (POLITE)».
Anche in questo testo il genere domina e il sesso sparisce: 14 volte “genere”, 1 volta “sessi” (ma è in una frase subordinata al concetto di “identità di genere”). Cavallo di Troia è la frase “culture e competenze di ambedue i generi”.
Art. 6 – Copertura finanziaria
La copertura finanziaria non viene assicurata con nuove tasse, ma con la «riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98».
Minori detrazioni significa nuove tasse, ma i nostri parlamentari sono abili a giocare con le parole.
I cavalli di Troia e il vocabolario gender
Nel DDL Fedeli i cavalli di Troia per introdurre l’ideologia gender ci sono tutti: Pari opportunità (12 volte), Differenze (11 volte), Discriminazione (3 volte), Violenza [contro le donne] (8 volte).
Non si parla di “omofobia” per un motivo molto semplice: il DDL Fedeli lavora in sinergia col DDL Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia. Ad esempio il DDL Fedeli non definisce la “identità di genere”, ma dà per scontata la definizione del DDL Scalfarotto: «identità di genere: la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico» (si tratta non del testo contro l’omofobia approvato alla Camera, ma di un altro disegno di legge precedentemente presentato dallo stesso Scalfarotto, ndr):
Il vocabolario gender invade tutto il DDL Fedeli: Identità di genere (7 volte), Stereotipo, e varianti (18 volte), Decostruzione (2 volte), Sessismo, e varianti (5 volte), Ruoli stereotipati, ruoli non stereotipati (3 volte).
Sì, è un DDL molto pericoloso. Introduce dall’alto un linguaggio e una cultura che nelle scuole è già largamente presente, ma solo per “osmosi” attraverso la mentalità gender che gli insegnanti, come tutti, bevono da giornali e TV. Qui invece si passa all’indottrinamento obbligatorio su linguaggi e categorie di pensiero create da una piccola minoranza ideologizzata”.
(da:
[www.notizieprovita.it] )
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Cos'hanno a che fare l'arte con la Montagna del sale di Mimmo Paladino, le Superfici magnetiche di Boriani, le tele squarciate di Fontana, le sfere bronzee di Pomodoro, i suoni di Stockhausen? Quante volte siamo rimasti basiti di fronte a "opere d'arte" vergognandoci di pensare "Questo l'avrei fatto anche io"? Come si è arrivati, da Caravaggio, Bach, Bernini all'orinatoio di Duchamp? Cosa ha provocato il decadimento della bellezza? Cos'ha a che fare il processo rivoluzionario con l'arte?
Roberto Marchesini ci accompagna in un viaggio appassionante e sorprendente attraverso l'arte moderna e contemporanea, alla ricerca di quel significato nascosto che essa porta senza renderlo esplicito.
Con un linguaggio semplice e chiaro (lontano da quello solitamente utilizzato nei libri dedicati all'arte) l'autore ci accompagna alla scoperta della Rivoluzione nell'arte: una sfida alla bellezza del creato.
L'arte, dove si leva il grido della grande Bellezza
di Giulia Tanel
«Quale bellezza salverà il mondo?», si chiedeva Dostoevskij ne L'idiota. L'ultima fatica, originale nel tema e appassionante nella trattazione, dello psicologo e psicoterapeuta Roberto Marchesini è una sfida aperta in tale direzione: La rivoluzione nell'arte - Una sfida alla bellezza del creato (D'Ettoris Editori, 2016). infatti, «[...] non è un testo di storia dell'arte, semplicemente una raccolta di riflessioni sul significato dell'arte».
Il testo prende avvio da alcuni interrogativi, solo in apparenza capziosi: cos'è l'arte? Arte e bellezza sono legate? E, ancora, di che forma di bellezza si sta parlando? Per rispondere alla prima domanda è necessario andare indietro nella storia. Così facendo si scopre che fino al Settecento vi era un'idea abbastanza precisa di cosa fosse da considerare “arte”: essa era «[...] un agito in conformità alla natura, al fine delle cose e all'armonia del creato».
È questa la concezione “tradizionale” dell'arte, cardine certo della cultura e punto di partenza della riflessione. E questo ben prima dell'avvento del cristianesimo, che comunque ha investito l'ambito artistico di una significazione nuova e sommamente più elevata. Basti, a titolo d'esempio, guardare ad Aristotele (vissuto nel 300 a.C.) e a San Tommaso (vissuto nel 1200): per il primo, considerato a ragione uno dei massimi filosofi dell'antichità, il compito dell'arte era quello di “imitare la natura”; una convinzione, questa, dalla quale il Doctor Angelicus ha preso le mosse, per approfondirla e svilupparla ulteriormente «integrandola con elementi originali».
Questo era dunque lo status questionis fino alla “rottura”, che ha segnato l'inizio di una rivoluzione in ambito artistico ancora oggi in atto, intesa – per riprendere Plinio Correa de Oliveira - «[...] come un processo volto a sovvertire e distruggere l'ordine e l'armonia del creato», andando a mettere in discussione – e, perfino, a negare – le basi stesse di fondamento del pensiero dell'intero Occidente. È la nascita della “estetica”, secondo il termine coniato dal filosofo tedesco Baumgarten: la bellezza diventa dominio dei sensi, non più della ragione; ogni definizione oggettiva di quanto sia da considerarsi “bello” viene meno, così come viene negato un riferimento obiettivo e l'arte diventa fine a se stessa, relegata all'appagamento dei sensi.
Nel suo testo Marchesini propone al lettore un affondo dentro le pieghe di questa rivoluzione, che ha coinvolto diversi campi artistici: la musica, la pittura, l'architettura, la scultura, la letteratura, il teatro, la danza, la fotografia e il cinema. E lo fa portando esempi e stimolando riflessioni, senza alcuna pretesa di esaustività, ma con il solo obiettivo di cercare una possibile risposta alla domanda antica e sempre nuova: quale bellezza più grande riconosciamo nelle opere d'arte che ci rapiscono? Di che cosa abbiamo nostalgia, pur non avendolo mai conosciuto? «Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, over per poco il cor non si spaura» (Leopardi, L'Infinito). La risposta è lì, nelle pagine del libro...
Roberto Marchesini La rivoluzione nell'arte - Una sfida alla bellezza del creato, D'Ettoris Editori, 2016.
da:
[www.lanuovabq.it]
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La Chiesa della misericordia di fronte ai Dubia dei cardinali:
si riscopre tribunale dell'Inquisizione
Li hanno dipinti come “vecchi rincoglioniti”, quattro cardinali isolati e fuori dal mondo, rimasuglio di una Chiesa ormai superata che vede solo la rigidità della dottrina e non capisce la Misericordia che entra nelle pieghe della vita. Insomma, uno scarto della Chiesa, un’appendice marginale neanche degna di un “sì” o un “no” alle loro domande.
Eppure devono averne una gran paura se da giorni stiamo assistendo a un crescendo di insulti e accuse pesanti, ormai un vero e proprio linciaggio mediatico, contro i quattro cardinali – Raymond Burke, Walter Brandmuller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner – rei di aver resi pubblici cinque “Dubia” già presentati a papa Francesco riguardo all'esortazone apostolica Amoris Laetitia. Addirittura siamo arrivati a richieste di dimissioni dal collegio cardinalizio o, in alternativa, suggerimenti al Papa di togliere loro la berretta cardinalizia.
I protagonisti sono i più vari: vescovi che hanno da regolare conti personali, ex filosofi che rinnegano il principio di non contraddizione, cardinali amici di papa Francesco che malgrado l’età non hanno abbandonato i sogni rivoluzionari, intellettuali e giornalisti che si considerano “guardiani della rivoluzione”, e l’immancabile padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica e vera eminenza grigia di questo pontificato, tanto da essere conosciuto a Roma come il vice-Papa. Quest’ultimo poi, come un adolescente qualsiasi, si è reso protagonista di bravate sui social che lasciano esterrefatti: dapprima con un tweet ha apostrofato il cardinale Burke paragonandolo al “verme idiota” del Signore degli anelli (tweet poi cancellato); quindi si è messo a rilanciare tweet offensivi nei confronti dei quattro cardinali partiti dall’account “Habla Francisco” (Parla Francesco), che si è scoperto ieri riportare all’indirizzo e-mail di padre Spadaro alla Civiltà Cattolica. E poi l’immancabile Alberto Melloni, punto di riferimento della Scuola di Bologna che lavora per una riforma della Chiesa fondata sullo “spirito” del Concilio Vaticano II.
È un vero e proprio nuovo tribunale dell’Inquisizione che, colpendo i quattro, intende intimidire chiunque abbia l’intenzione di esprimere anche semplici domande, figurarsi chi volesse esternare delle perplessità.
È un atteggiamento inquietante, una difesa del Papa quanto meno sospetta da parte di chi ha apertamente contestato i predecessori di papa Francesco. E solo per aver posto delle semplici domande di chiarimento a proposito dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia che, come chiunque può constatare, ha dato origine a interpretazioni opposte e sicuramente non conciliabili. Al proposito bisogna ricordare che i “Dubia” sono uno strumento molto utilizzato nel rapporto tra vescovi e Congregazione per la Dottrina della Fede (e attraverso questa con il Papa). La novità in questo caso è semplicemente nell’aver resi pubblici questi Dubia, ma dopo ben due mesi di vana attesa di una risposta, che i quattro cardinali hanno legittimamente interpretato come un invito a proseguire la discussione.
Eppure per Melloni si tratta di «un atto sottilmente eversivo, parte di un gioco potenzialmente devastante, con ignoti mandanti, condotto sul filo di una storia medievale». Atto eversivo, spiegherà Melloni in un’altra intervista, perché fare domande significa mettere il Papa sotto accusa, un metodo da inquisizione. Cose da non credere: chiedere chiarimenti è diventata un’attività eversiva, da Inquisizione. E gli «ignoti mandanti» poi: accuse vaghe, scenari fantasiosi ma che devono dare l’impressione di una cospirazione da fronteggiare con decisione. E infatti ecco il passaggio successivo: «Chi porta attacchi come questo (…) è qualcuno che punta a dividere la Chiesa», dice. E quindi ecco le conseguenze auspicate: «…nel diritto canonico è un crimine, punibile».
Addirittura criminali, dunque, perché vogliono dividere la Chiesa. Poco importa se la realtà è esattamente opposta: la spinta a rivolgere delle domande al Papa nasce proprio dalla constatazione della divisione nella Chiesa che si è palesata con le opposte interpretazioni di Amoris Laetitia.
C’è proprio puzza di maoismo nella Chiesa, rumore di Guardie Rosse e di avanguardie rivoluzionarie; ci mancano solo i campi di rieducazione. Anzi no, pare che già ci siano anche quelli, almeno stando al solito Melloni. Infatti, ci spiega il perché papa Francesco non abbia usato nei confronti di monsignor Lucio Vallejo Balda – nelle carceri vaticane per lo scandalo Vatileaks – quella clemenza che ha invece invocato per i carcerati nei vari paesi del mondo: «A fine Giubileo si capisce il perché: papa Francesco non vedeva in quel processo una procedura penale, ma un gesto pedagogico verso gli avversari» che ora «rischiano molto». Insomma, colpirne uno per educarne cento.
Si tratta di una lettura davvero inquietante, a maggior ragione se si pensa che quanti oggi si scatenano a difesa del Papa per delle semplici domande di chiarimento che dovrebbero essere normali, fino a ieri contestavano apertamente i predecessori di papa Francesco. Anzi, vedono oggi in papa Francesco la possibilità di cancellare quanto sulla famiglia hanno insegnato Paolo VI e Giovanni Paolo II. L’enciclica Humanae Vitae (Paolo VI) e l’esortazione apostolica Familiaris Consortio (Giovanni Paolo II) sono state nel mirino di vari episcopati europei (Austria, Germania, Svizzera, Belgio) anche nel recente doppio Sinodo sulla famiglia.
E chi di costoro si è scandalizzato quando il cardinale Carlo Maria Martini ha scritto chiaro e tondo (Conversazioni notturne a Gerusalemme) che l’Humanae Vitae ha prodotto «un grave danno» col divieto della contraccezione cosicché «molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone»? E ha auspicato un nuovo documento pontificio che la superi, soprattutto dopo che Giovanni Paolo II seguì «la via di una rigorosa applicazione» della Humanae Vitae? Certamente nessuno, perché ciò che conta non è l’oggettività del Magistero (il cui riferimento è la Rivelazione di Dio), ma il progetto ideologico di queste avanguardie sedicenti interpreti della volontà popolare.
E allora c’è un’intima coerenza nel fatto che i papisti di oggi siano i ribelli di ieri. Sì, ribelli. Perché da Paolo VI in poi, questi vescovi e intellettuali, questi maestri di obbedienza al Papa, hanno dichiarato guerra al Magistero in quanto non recepiva lo spirito del Vaticano II; hanno firmato manifesti, documenti e appelli in cui contestavano apertamente il Papa regnante, fosse Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI. Ricordiamo almeno il pesante documento del noto moralista tedesco Bernard Haring nel 1988 contro Giovanni Paolo II che tanto sostegno ricevette in tutta Europa, subito seguito dalla Dichiarazione di Colonia, nel 1989, dello stesso tenore, firmata da numerosi e influenti teologi tedeschi, austriaci, olandesi e svizzeri. E in Italia subito accolta con favore, tra gli altri, da quel Giovanni Gennari che oggi fa il quotidiano custode dell’ortodossia dalle colonne di Avvenire.
Ma nello stesso anno in Italia arriva anche il Documento dei 63 teologi, una Lettera ai cristiani pubblicata sulle colonne de Il Regno, in cui si contesta apertamente il magistero di Giovanni Paolo II. E nell’elenco dei firmatari ci troviamo nomi noti che hanno imperversato in seminari e atenei pontifici negli ultimi decenni, realizzando un vero e proprio magistero parallelo di cui oggi vediamo gli amari frutti. Facevano le vittime, ma tutti hanno fatto brillanti carriere, qualcuno è anche diventato vescovo come quel monsignor Franco Giulio Brambilla, attualmente vescovo di Novara e in corsa per succedere al cardinale Angelo Scola a Milano. Ma guarda caso, tra le firme troviamo l’immancabile Alberto Melloni, con i suoi colleghi della Scuola di Bologna (Giuseppe Alberigo in testa), il priore della Comunità di Bose Enzo Bianchi, Dario Antiseri, Attilio Agnoletto.
Sono gli stessi che hanno continuato ad attaccare pubblicamente Benedetto XVI, anche con palesi prese in giro, riguardo alla corretta interpretazione del Concilio Vaticano II che Melloni, Bianchi e co. hanno sempre visto come svolta radicale e irreversibile «nella comprensione della fede ecclesiale», contro l’ermeneutica della riforma nella continuità spiegata da papa Ratzinger. E come non ricordare le vesti stracciate per la scomunica tolta ai lefevriani mentre ora neanche un sospiro si è levato di fronte alle aperture unilaterali di papa Francesco.
Sono questi i personaggi che oggi pretendono di giudicare cardinali, vescovi e laici preoccupati della grave confusione che si è creata nella Chiesa. Una banda di ipocriti e sepolcri imbiancati, che perseguono da decenni una loro agenda ecclesiale, che usano il Papa per affermare un loro progetto di Chiesa, e che oggi si permettono l’arroganza di chi pensa di essere al comando di una vincente e gioiosa macchina da guerra. Sono questi i veri fondamentalisti, sostenuti da una stampa compiacente che non vede l’ora di cancellare definitivamente ogni traccia di identità cattolica. Che però, purtroppo per loro, non soccomberà.
Riccardo Cascioli, per
[www.iltimone.org]
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Le parole hanno un senso. E quelle del commiato di Renzi ne hanno uno chiarissimo: «Lasciamo la guida del Paese con un’Italia che ha finalmente una legge sulle unioni civili», ha detto. Spiegando anche come tale normativa, nota come Cirinnà, vada intesa. Come una di quelle «con l’anima, quelle di cui si è parlato di meno ed alle quali tengo di più». Che se ne sia parlato di meno è vero tanto quanto che abbia un’anima. O meglio: ammesso e non concesso che ce l’abbia, è sicuramente nera, opponendosi frontalmente al Catechismo, al diritto naturale, ai principi non negoziabili ed alla famiglia intesa dal buon senso quale cellula fondante della società.
E questo, il «cattolico» Renzi – come lui stesso ebbe a definirsi nel maggio scorso a Porta a Porta, proprio parlando di unioni civili –, dovrebbe saperlo bene. Dovrebbe, poiché nel corso della stessa intervista specificò di far «politica da laico», avendo «giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo», introducendo così una schizofrenia morale tra pubblico e privato, del tutto in contrasto con l’enciclica Evangelium Vitae, che anzi al n. 68 bolla tale atteggiamento come «relativismo etico», biasimando chi pensi che, «nell’esercizio delle funzioni pubbliche e professionali», possa «prescindere dalle proprie convinzioni» nel «rispetto dell’altrui libertà di scelta», delegando in realtà le proprie responsabilità «alla legge civile, con un’abdicazione alla propria coscienza morale». Sembra un vestito cucito ad arte addosso a Renzi. Il quale, però, senza crucci, né rimorsi, né dubbi, ha ribadito esser quella sulle unioni civili una delle leggi cui tiene di più: il premier più fotografato all’uscita dalle Messe ritiene motivo di vanto aver varato per primo le “nozze” gay in Italia.
E quali sarebbero gli altri “record” del suo esecutivo? Elencarli tutti richiederebbe tempo. Ma come dimenticare, ad esempio, oltre alla citata legge Cirinnà, quella sul cosiddetto «divorzio breve», per dirsi addio in soli sei mesi, norma definita addirittura «di portata storica» dall’esecutivo Renzi? Oppure quella sulla sedicente «Buona Scuola» coi riferimenti alla «prevenzione della violenza di genere» ed all’art. 5 della legge 119/2013, quella cosiddetta sul «femminicidio», entrambi grimaldelli per introdurre nelle aule i corsi sulla teoria gender, come i fatti e le cronache hanno poi ampiamente dimostrato. Insomma, tutti provvedimenti atti a minare alle fondamenta la famiglia naturale, introducendone piuttosto parodie artificiali.
Allora Renzi, benché a parole non perda occasione per dirsi ed apparire cattolico, non può certo vantar coerenza tra i proclami ed i fatti. Anche di recente, lo scorso primo dicembre per la precisione, sui social, nel corso della rubrichetta «Matteo risponde», alle critiche mossegli per le posizioni del suo esecutivo su matrimonio, omofobia, gender nelle scuole, eutanasia e via elencando, ha replicato non argomentando, bensì offendendo: «Da cattolico Le dico che non so di che cosa stia parlando – ha esordito, non senza una dose industriale di sfrontatezza – So che c’è una parte del mondo cattolico che dice certe cose, dall’altro lato c’ho una strana congiunzione astrale tra questa parte di mondo e il mago Otelma che fa le riunioni con i maghi per cercare di avere la mia sconfitta e le mie dimissioni».
Burlette, che, se non fossero giunte dalla bocca di un (allora) premier, sarebbero state liquidabili come vaniloqui privi di senso. Purtroppo, in politica, anche i vaniloqui hanno un proprio peso specifico. Di fronte ad un tale virulento e pervicace attacco alla famiglia, chiunque credesse nel bene comune e nel diritto naturale non poteva non cogliere la prima occasione utile, per fermare un governo non eletto, eppure mossosi come un’autentica macchina da guerra, scontentando tutti, non solo i cattolici, e seminando crescente malcontento e dissapori. Ora che la farsa è finita, Renzi ha però ritenuto di poter gettare la maschera e dismettere quei panni da «Papaboys» che lui stesso si era dato nel corso di un’intervista al mensile «Vita» dell’agosto 2011, raccontando le due Gmg cui partecipò, nel 1997 e nel 2000.
Così, stranamente, per la prima volta, nel discorso di commiato, mai ha fatto riferimento al suo esser cattolico. Ha ricordato la sua esperienza scoutistica, ha citato il fondatore degli esploratori Robert Baden-Powell, ma zero riferimenti al dato confessionale. Tutt’altro. Il tono è improvvisamente cambiato e si è repentinamente secolarizzato. Così, al posto dell’incenso, ecco spuntare un inedito appello ad una “laica vocazione” non meglio identificata, sospesa forse tra le velleità giacobine alla francese e le “liturgie” radicaleggianti alla Pannella. Ormai, però, è tardi: gli Italiani han già fatto le proprie valutazioni ed han deciso di tracciare una croce su questo governo. Non per votarlo, bensì per rottamarlo. Un governo sedicente cattolico, da archiviare, in realtà, come uno dei peggiori che l’Italia abbia mai avuto. Piaccia o meno a Renzi.
(Mauro Faverzani per
[www.corrispondenzaromana.it]
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Referendum, i vertici di molte associazioni cattoliche scollati dalla base pro No. Parla Gandolfini
Il popolo c’è e si è fatto sentire forte e chiaro. Ora bisogna lavorare ad una grande coalizione che si impegni direttamente sui temi della vita e in difesa della famiglia. Ma non nascerà un nuovo partito. “E io non mi candiderò alle elezioni”. Parla il neurochirurgo Massimo Gandolfini, portavoce del Family Day e coordinatore del comitato Difendiamo i nostri figli, che dice: “C’è un distacco nell’associazionismo cattolico tra i gruppi dirigenti e il loro popolo. Così nei grandi movimenti, Acli, Cl, Azione cattolica. E’ accaduto come al Family Day: la base era in piazza, i leader no”. Ecco la conversazione con Formiche.net.
Professor Gandolfini, quanta parte ha avuto il popolo del Family Day nella vittoria del No?
Crediamo di avere contribuito con quattro, cinque milioni di voti. E’ una valutazione che facciamo in base a quanto ci dicono dal centinaio di circoli del comitato Difendiamo i nostri figli, del migliaio di incontri e conferenze che abbiamo organizzato in tutto il territorio nazionale, anche in collaborazione con il Movimento cristiano lavoratori.
L’esito del voto ha mostrato la distanza tra grandi media e sentimento del Paese.
È la dimostrazione che mentre si dà spazio ai leader dei partiti e ai grandi politologi, non si tiene conto che c’è un voto popolare, educato e informato, che ha preso atto di come questa riforma avrebbe comportato una deriva autoritaria, un accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo. Così si è espresso di conseguenza. Adesso qualcuno comincia a riconoscere che ci sono movimenti popolari che hanno determinato l’esito del voto, anche se non si fanno i nomi.
Nel frastagliato fronte del No vi siete trovati insieme a forze ben lontane dalle vostre posizioni. Vede una patria politica per il popolo del Family Day? Nascerà un partito?
Non c’è un partito che incarni tutti i nostri valori. E non possiamo farne uno nostro, esclusivo sui valori etici, perché non funzionerebbe. Una forza politica deve portare avanti tanti altri temi di cui non ci occupiamo direttamente. Quello che come movimento dobbiamo fare in questa fase è un’azione di pressing sulle forze politiche a noi più vicine, creare una coalizione che si impegni sulla difesa della vita e della famiglia. Ora non c’è, ma questo No è stato storico, ha creato un terremoto di cui le forze politiche dovranno tenere conto.
Ieri la senatrice Cirinnà si domandava via twitter se non stia già trattando una candidatura per il Parlamento. Davvero, anche dopo l’esito del voto, non è tentato da un impegno diretto?
Di candidarmi me lo stanno chiedendo in tanti e da più parti, ma no, non sarò io; Cirinnà può dormire sonni tranquilli: non è un mio obiettivo. Lo farei solo se me lo chiedesse il Papa (sorride, ndr). Il compito della rappresentanza diretta spetta ad altri.
Come vanno i rapporti con Mario Adinolfi?
Non so per lui, ma per me Mario resta un amico. Tuttavia la sua scelta di creare una lista è stata lacerante e controproducente sul piano politico. Noi cerchiamo di muoverci diversamente, come movimento culturale.
Anche il mondo cattolico ha avuto posizioni poliedriche sul referendum. E all’interno degli stessi movimenti.
C’è un distacco nell’associazionismo cattolico tra i gruppi dirigenti e il loro popolo. Così nei grandi movimenti, Acli, Cl, Azione cattolica. E’ accaduto come al Family Day: la base era in piazza, i leader no.
Perché accade questo?
Credo che ci siano gruppi dirigenti che si fanno condizionare da alcune aree della Cei. Ma il popolo poi fa quanto ritiene giusto e buono. Noi in un certo senso godiamo di un privilegio perché non dobbiamo rendere contro a nessuno; ci interessa solo servire.
Sembra prevalere nei movimenti laicali cattolici una sorta di preferenza per l’opzione religiosa. Più testimonianza e meno militanza.
La testimonianza è il primo punto della comunicazione dell’esperienza cristiana. Ma serve anche l’altro polmone, non si può confidare solo nella provvidenza, siamo chiamati a fare la nostra parte. E’ il ruolo profetico che ci ha assegnato il Concilio Vaticano II. Spetta ai laici entrare nelle cose del mondo.
L’episcopato ufficialmente non si è espresso.
In generale ha dominato la prudenza, forse eccessiva rispetto a quanto accaduto in passato. Anche se poi alcuni vescovi hanno fatto di più. Ma trovo significativo che il presidente Cei, Angelo Bagnasco, a fine settembre abbia invitato i cattolici ad andare alle urne bene informati. Ci ho letto una preoccupazione, un invito a guardarsi dai pericoli della riforma.
Riuscirà a perdonare Matteo Renzi per le unioni civili?
Il nostro non è stato un voto di ripicca. Abbiamo detto No perché con quella riforma qualsiasi forza al governo sarebbe stata pericolosamente autoritaria. Ed è stato la logica conseguenza davanti ad un governo che ha portato avanti a colpi di fiducia leggi contro la vita e la famiglia che riscrivono l’antropologia. Avremmo fatto lo stesso con altri, e faremo lo stesso in futuro con chi sceglie di non servire i nostri principi. Detto questo, che Renzi provenga da un’esperienza nell’associazionismo cattolico è un valore aggiunto, ma al di là della memoria, di quello che è stato, dobbiamo stare al presente, a quanto accaduto. Non si è neppure confrontato con noi, nonostante lo avesse promesso.
Dialogo impossibile?
Siamo due cristiani. Possiamo e dobbiamo parlare, ma noi non arretriamo di un passo. Lui è disponibile a rivedere le sue posizioni sulle istanze che provengono dal suo partito su adozioni per tutti, l’educazione gender nelle scuole, la legalizzazione della cannabis, l’eutanasia e tutto il resto?
Gandolfini, di fronte all’enormità dei problemi economici perché insistere così tanto su questi valori?
Forse sembriamo dei don Chisciotte che lottano contro i mulini a vento. Io però dico: meno male che ci siamo, che abbiamo assunto questo compito, che abbiamo preso in mano la bandiera di questi temi. Ad impegnarsi di problemi economici sono già in tanti, mentre si assottiglia l’attenzione ai valori della vita. E noi di questo siamo chiamati ad occuparci.
di Andrea Mainardi per
[formiche.net]
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L'educazione di genere a caccia di stereotipi estinti...
di Giusy D'Amico
Dalla città di Pisa sono giunte richieste di chiarimenti su un progetto dal dubbio valore educativo, alla mail dell'Associazione Non Si Tocca La Famiglia che con una sede nel territorio, ha subito attivato l'equipe scientifica del Direttivo nazionale, presieduta dal prof. Furio Pesci docente di pedagogia nell'Università La Sapienza di Roma e dai medici pediatri Federica Dalmastri e Mariano Bonanni con la consulenza del presidente dell'Associazione Giusy D'Amico quale docente di scuola primaria.
I genitori si chiedono il perché sia stato deciso di stravolgere una fiaba dove la protagonista deve diventare un maschio e proporre ai bambini qualcosa su cui le famiglie nutrono molte perplessità.
Come Associazione in rete con molte altre realtà educative che seguono genitori famiglie e docenti, consigliamo sempre di mettersi in collegamento significativo con la scuola di riferimento, esprimere serenamente i proprie dubbi, le proprie sensibilità culturali, etiche, filosofiche e religiose, affinché la scuola prenda atto del bagaglio valoriale della famiglia e possa predisporre percorsi alternativi per rispettare il diritto al primato educativo dei genitori, soprattutto in merito a tematiche di natura etica e sensibile di cui la scuola deve tenere conto.
Dopo aver messo a disposizione ogni informazione possibile, su chi svolgerà il progetto, con quali tempi, e con strumenti didattici porterà avanti il progetto, e'necessario valutare e tener conto la possibilità di eventuali posizioni di dissenso da parte delle famiglie in ordine ai propri principi.
L'uso del Consenso Informato Preventivo riconosciuto dal MIUR nella nota n.4321 del 06/07/2015 dice a proposito del Piano Dell'Offerta Formativa (PTOF) : “ La partecipazione a tutte le attività extracurricolari, contenute nel PTOF che è per sua natura facoltativa, prevede la richiesta del Consenso dei genitori per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni che in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza”.
L'uso di tale strumento rispetta il diritto-dovere all’istruzione di cui i genitori sono i primi titolari, come riconosciuto dall’art.30 della Costituzione e dall’art.26 c.3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Pertanto per i genitori che non condividessero la proposta offerta dalla scuola, sarà opportuno da parte della stessa predisporre percorsi alternativi con quei genitori che decideranno di non avvalersi di questo o quel progetto .
La scheda didattica presentata dalla scuola che propone l'iniziativa di drammatizzazione della fiaba Cenerentolo dice:
- Perché gli eroi delle fiabe sono sempre maschi?
- Perché arriva sempre un principe azzurro a salvare la situazione e non una principessa azzurra?
- Perché infine una Cenerentola e non un Cenerentolo?
Da qui parte il tentativo di dare una interpretazione rovesciata della famosa fiaba di Perrault, in cui i ruoli di ogni personaggio ruotano attorno al rovescio del personaggio principale, Cenerentola, appunto.
- E quando Cenerentolo, un maschio, spazza i pavimenti oppure lava i piatti o rifà i letti come una femmina, come lo considerano le sorellastre? Cosa gli dicono? Come lo prenderanno in giro?
E quando al posto del principe troveremo una principessa? Cosa accadrà?-
Si dice in questa presentazione che in quasi tutti i grandi classici della letteratura infantile, le qualità “positive” sono più spesso attribuite agli uomini e ai ragazzi , mentre le bambine vengono private di modelli attivi e autonomi.
Sembra allo stesso tempo che anche il territorio dei ragazzi si riduce, limitandoli nell’espressione dell’affettività, della sensibilità estetica e delle capacità manuali, spingendoli a conformarsi ad un’immagine culturalmente povera della virilità.
L'amore trionferà tra una principessa azzurra e un giovane povero senza titolo che magari prenderà un giorno il cognome della moglie .
Ora premesso che la concezione maschio centrica della società da cui tenta di allontanarsi l'autore della nuova fiaba capovolta, e' una società che non ragiona più in questi termini, visto che le donne ormai nella quasi totalità lavorano, sono emancipate e realizzate, si sposano molto tardi o non si sposano affatto, spesso sono anche donne separate e quindi ancora più indipendenti, non si capisce bene per quale motivo stravolgere una fiaba su cui al limite sarebbe stato opportuno lavorare in ordine alla parte su cui insiste la storia presentando la condizione di serva della ragazza.
Posizione non voluta ovviamente dal principe che desidererà per lei ogni bene ma costruita da persone malvagie e gelose, come afferma la dottoressa Federica Dalmastri, medico pediatra dell'equipe scientifica dell'Associazione Non Si tocca La Famiglia, che rappresentano l'incarnazione del male( tipo il lupo di Cappuccetto rosso) per questo Cenerentola non e' affatto una fiaba sessista, non vi e' schiavitù ad opera di un maschio- padrone . Nel testo originale altresì Cenerentola incarna i sogni di ogni bambina di incontrare il principe azzurro che la ama e la rispetta. L'intento del progetto e in realtà quello di ridicolizzare e sminuire a prescindere la figura maschile e il tutto è mosso da un'ideologia cieca che esula dal contesto e dalla morale della fiaba.
Sarebbe dunque significativo, pedagogicamente rispettoso, conservare i tratti reali e fantastici del sogno di ogni adolescente, donna e di ogni uomo che ad un certo punto desiderano o incontrano per caso l'amore e magari concentrarsi su aspetti educativi più mirati per migliorare la riflessione sulla dignità della persona, sia in ordine al genere femminile che a quello maschile.
Avrebbe avuto senso ad esempio, nella logica della fiaba capovolta, dove Gianni Rodari e' illustre maestro, pensare ad aggiungere episodi curiosi o di riflessione ulteriore di aspetti reali o fantastici che in genere condiscono le fiabe di tutti i tempi..ad esempio immaginando il principe azzurro che da nobile diviene un semplice maestro di scuola, e che si incarica di insegnare che le fanciulle come cenerentola ridotte in schiavitù da matrigne e sorellastre cattive, debbano essere rispettate e valorizzate in ogni modo, magari raccontando fiabe buffe o storie vere sul loro vero genio creativo, esaltando le capacita' organizzative ( e chi più di una donna ha il senso e la misura di come si conduce un bilancio, una gestione, in famiglia come in azienda?) per le loro doti spiccate alla relazione che non dipendono da ruoli culturali assunti nel tempo, ne' perche' la cultura lo ha imposto, ma per il solo fatto che le donne hanno un cervello sessuato come gli uomini e quindi i loro comportamenti sono direttamente proporzionali alle caratteristiche biologiche che li contraddistinguono.
Maschi e femmine sono diversi e lo sono biologicamente , questa e' la diversità che li rende ricchi, affascinanti, carichi di quel quid che da illo tempore genera alla vita tanti esseri umani.
L'educazione alla parità dei sessi e' doverosa sul piano dei diritti, delle opportunità e della dignità, ma non può azzerare le caratteristiche fondanti che rendono maschi e femmine differenti e per questo irresistibilmente attraenti, e' necessario riconoscere che quella parità deve rimanere il segno distintivo di una unicità che rischia di essere messa in discussione da percorsi educativi come quello proposto a Pisa.
Instillare nei bambini un dubbio esistenziale su cosa sia essere maschi e femmine e sul come si possa interscambiare la propria identità sessuata con quella del sesso opposto non e' pedagogicamente corretto.
Il bambino ha un mondo simbolico cui fa riferimento nella sua vita reale, dove la mamma e il papa sono due persone distinte come il nonno e la nonna, lo zia e lo zio, le cuginette e i cuginetti, la maestra e il maestro etc...
Le fiabe rendiamole buffe e divertenti, gioiose o impegnate nella riflessione, ma lasciamo che i bambini abbiano le idee chiare sugli unici dati a loro disposizione, e cioè che nascono come maschi e come femmine e vengono generati dall'unione di un maschio e di una femmina.
La dott.ssa Emanuela Ruggeri biologa e componente dell'equipe scientifica dell'Associazione Non Si Tocca La Famiglia concludendo le analisi del team afferma, che le differenze tra uomini e donne affondano le loro radici nella sessualizzazione del cervello, che ha luogo prima della nascita dei bambini, e si riflettono nei comportamenti di maschi e femmine in maniera estremamente evidente.Gli stessi pur subendo influssi culturali legati ai secoli, permangono all'interno di quadro di differenze strutturali che si evincono nelle epoche di ogni tempo.
da:
[www.nonsitoccalafamiglia.org]
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Stanno facendo discutere le modifiche alla proposta di legge volta inizialmente a contrastare il solo cyberbullismo, già approvata al Senato e in questi giorni in votazione alla Camera (l’esame riprenderà martedì 20), dove le Commissioni hanno ampliato il ddl originario fino a ricomprendere il contrasto a ogni forma di bullismo.
Mentre il primo testo prevedeva una tutela specifica per i minorenni, la nuova versione riguarda anche gli atti di bullismo commessi contro gli adulti, con un inasprimento delle sanzioni e l’introduzione del cyberbullismo tra le aggravanti nell’articolo 612 bis del codice penale: la pena prevista va da uno a sei anni di reclusione. Le opposizioni - Movimento 5 Stelle in testa - hanno rimarcato il fatto che le norme a tutela degli adulti esistono già e che il ddl, così formulato, rappresenta un pericolo per il libero pensiero, specialmente online.
C’è, però, un aspetto del nuovo testo che non è emerso nel dibattito svoltosi fin qui alla Camera e che rischia di far rientrare dalla finestra quelle limitazioni alla libertà d’espressione che i parlamentari più vicini all’associazionismo Lgbt hanno tentato di far passare, finora senza riuscirvi, attraverso il ddl sull’omofobia, arenatosi a Palazzo Madama e che ha come primo firmatario l’esponente del Pd Ivan Scalfarotto.
L’articolo 1, riscritto ed emendato, contiene infatti uno specifico richiamo all’orientamento sessuale e una definizione così vasta di bullismo (definito come «l’aggressione o la molestia reiterate, da parte di una singola persona o di un gruppo di persone, a danno di una o più vittime, idonee a provocare in esse sentimenti di ansia, di timore, di isolamento o di emarginazione, attraverso atti o comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche o psicologiche, istigazione al suicidio o all’autolesionismo, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni, per ragioni di etnia, lingua, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima») da poter condizionare la libertà d’espressione di chi difende la famiglia naturale e afferma che l’omosessualità non è innata.
C’è quindi il rischio che si usi un intento buono, come quello di dare una maggiore protezione ai soggetti più deboli, per cercare di zittire - attraverso un testo vago, la cui interpretazione potrà cambiare da giudice a giudice - chiunque si oppone a una visione ideologica della natura umana, che verrebbe promossa tra l’altro nelle scuole di ogni ordine e grado. La Nuova BQ ne ha parlato con l’avvocato Giancarlo Cerrelli, esperto di diritto della famiglia e dei minori.
Avvocato Cerrelli, condivide le modifiche fatte al testo sul cyberbullismo che adesso include anche il bullismo e non si rivolge più specificamente ai soli minori?
Le modifiche fatte alla Camera, che comunque dovranno essere rivotate dal Senato, allargano i destinatari del provvedimento, che a me in generale sembra confuso e confusionario. Nel nuovo testo si prevedono anche gli adulti tra i soggetti da tutelare e, tra le righe dell’articolo 1, si configura un pericolo per la libertà di pensiero.
Perché?
Perché, di fatto, in questo articolo c’è di tutto. Già esistono delle norme, come quelle sullo stalking e altri reati, che tutelano riguardo a percosse, lesioni, violenze private, furti e danneggiamenti, per cui risulta ridondante riscrivere gli stessi concetti in un’altra legge. Poi, ritengo pericoloso che nell’articolo si faccia rientrare l’orientamento sessuale, perché questa espressione viene ormai usata per legittimare varie circostanze: qualche giudice potrebbe considerare lesive, e dunque espressive di una forma di bullismo, le idee di chi ritiene che una persona con tendenze omosessuali non possa sposarsi e adottare e, in modo rocambolesco, giudicarle come omofobe.
Questo testo fa quindi riemergere le preoccupazioni avanzate riguardo al ddl sull’omofobia, che al momento è fermo al Senato.
Sì, esatto. Ora, è chiaro che bisogna contrastare il bullismo e il cyberbullismo, però a me sembra che questi provvedimenti legislativi vengano promossi per portare avanti una sorta di rieducazione degli studenti. Questa idea di “rieducare” compare tre volte nel testo, con la previsione di progetti rivolti agli artefici di atti di bullismo. Ribadendo che ogni vessazione va appunto contrastata, mi chiedo: nel caso dell’orientamento sessuale, verso che cosa sarà diretta questa rieducazione? Anche verso una base di idee afferenti alla natura e al diritto naturale? Spero di no. Il punto è che oggi, per mezzo di campagne dai titoli nobili - come il contrasto al bullismo e al femminicidio, la promozione dell’educazione sessuale, i corsi di educazione alla legalità e alla cittadinanza -, nelle scuole si riescono a insinuare associazioni (il cui coinvolgimento è previsto anche da questo provvedimento) che poi promuovono una visione distorta della natura umana. Di solito, alcune associazioni, tra cui anche quelle Lgbt, sono molte attrezzate e godono di finanziamenti, nonché di buone entrature per la promozione di progetti scolastici, che non sono certo realizzati gratuitamente.
Insomma, combattere il bullismo sì, ma senza imporre le ideologie oggi più di moda
Certo. Io penso che queste problematiche siano figlie in gran parte della rivoluzione culturale e del costume del ‘68: non che prima non ci fosse il bullismo, ma ora i genitori hanno perso l’autorevolezza di un tempo, il concetto di potestà è venuto a cadere. Oggi ci sono sempre più famiglie che non hanno più punti di riferimento valoriali, abbiamo soprattutto genitori amici, che hanno trasformato la famiglia in un luogo di relazioni simmetriche: in particolare, il padre - anche a causa della ridefinizione dell’istituzione familiare, propiziata dagli Anni ’70 del secolo scorso da potenti forze culturali e politiche, e recepita dal diritto - è sempre meno un modello forte e questo ha inevitabilmente delle conseguenze anche riguardo al conflitto interiore degli adolescenti. Poi, questo cambiamento del ruolo dei genitori si riflette pure sulle responsabilità dell’insegnante.
In che senso?
Perché molti docenti hanno abdicato al loro ruolo educativo. E questa problematica potrebbe essere dovuta in parte anche alla distorta relazione tra la famiglia e la scuola; pensiamo per esempio a quei genitori che anziché vigilare sul corretto svolgimento della funzione formativa arrivano a sindacare il comportamento in classe dell’insegnante. Si è persa di vista l’importanza dell’autorità. Prima ci si fidava molto di più dei maestri, mentre oggi sono crescenti pure quei fenomeni di bullismo degli studenti verso gli insegnanti, perché i ragazzi sentono di avere le spalle coperte dai genitori.
Alla luce di questo contesto socioculturale e del modo in cui è stato scritto il provvedimento, c’è il rischio che arrivino troppe richieste di intervento al Garante della privacy che dovrà verificare la rimozione dei contenuti online considerati offensivi?
Beh, questo ddl estende notevolmente i comportamenti pregiudizievoli, minando appunto la libertà di pensiero: se passa il testo così com’è, determinate pagine e dichiarazioni potrebbero essere soggette a oscuramento, anche senza essere offensive. Qui stiamo assistendo a una dittatura del pensiero unico e credo che tutte queste leggi che apparentemente servono a salvaguardare dei minori e dei soggetti deboli celano sottotraccia il vero motivo, che è quello di propiziare una nuova antropologia che diventi la base per la costruzione di un nuovo ordine mondiale, non più fondato sulla legge morale naturale, ma sul desiderio, sull’emozione e, soprattutto, sull’autodeterminazione. Ben venga l’attenzione contro la violenza e contro gli abusi, ma è chiaro che ci troviamo nel mezzo di una battaglia culturale e, guarda caso, tra i firmatari della legge approvata al Senato ci sono la Cirinnà, la Fedeli, Lo Giudice e altri ancora che sono l’ala marciante di questo processo rivoluzionario del costume. È vero che il testo è stato modificato in negativo alla Camera, ma anche qui i parlamentari che lo promuovono sono sempre gli stessi. Usano tutti i mezzi, tra cui le leggi che possiamo dire “commestibili”: chi infatti può dirsi contrario a interventi presentati come preventivi rispetto a bullismo e femminicidio?.
Ricordiamo che dopo l’approvazione della legge Cirinnà, proprio il senatore Lo Giudice è stato il primo firmatario di un ddl che, se passasse, limiterebbe la libertà professionale di tutti quegli psicologi, psichiatri, educatori e professionisti vari che aiutano i minori a disagio con la loro tendenza omosessuale.
Certo, è tutto collegato, sono tasselli di un unico progetto di potenti lobby, che puntano a rieducare il popolo, cominciando dai giovani.
di Ermes Dovio, per La NBQ 20/9/2016:
[www.lanuovabq.it]
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"Noi non dobbiamo pensare che l’evento riesca perché ci saranno tanti momenti di grande emozione. Non è difficile provocare l’emozione [...], ma non ha consistenza, non ha durata. Perché l’emozione è l’esaltazione di un particolare, soggettivo o oggettivo non importa, della propria condizione di vita, della situazione in cui ci si trova" (Mons. Luigi Negri).
Se si accostano le fotografie degli ultimi due Family Day a quelle della recente manifestazione di Verona, si capisce a colpo d'occhio che sta succedendo qualcosa.
Certo, si devono fare dei distinguo: quelle erano manifestazioni di popolo, questa è stata un evento elettorale; quelle furono preparate per tempo, questa molto velocemente. E così via.
Ma le immagini producono un indiscutibile effetto: demoralizzante all'interno del movimento; di ridimensionamento all'esterno, nel mondo dei partiti. E, probabilmente, questo effetto non è stato previsto dagli organizzatori.
Ora "il re è nudo" e se può esser saggio fingere che così non sia, è anche doveroso interrogarsi su cosa è accaduto e cosa sta succedendo.
Una prima avvisaglia si era già avuta dopo il raduno del gennaio 2016: alcuni osservatori avevano segnalato l'indifferenza e la conseguente assenza del supporto di gran parte dell'episcopato. Episcopato che, sull'“onda lunga” di San Giovanni Paolo II e del Card. Ruini, aveva invece promosso direttamente i Family Day dal 2007.
Durante l'estate si è avuta conferma di questo "cambio di priorità" con la sanzione, da parte di alcuni vescovi di recente nomina (Cagliari, Padova, ecc.), di sacerdoti che, sulla base delle Sacre Scritture, avevano condannato l'omosessualismo.
Un secondo evento è costituito dalla nascita dell'ennesima edizione del partito popolare, avvenuta poche settimane dopo il Family Day 2016, ad opera degli “ex” Adinolfi – Amato.
Anche in questo caso gli effetti non sono stati previsti adeguatamente: non si è pensato né al calo degli attivisti, né alla perdita di credibilità agli occhi degli altri partiti. Ancora oggi, forse per salvare il numero di presenze alle tante (troppe?) conferenze e manifestazioni, forse per inesperienza, si rinuncia a fare chiarezza e, mentre a livello locale il partito di Adinolfi continua ad erodere la base pro family e si struttura, il Family Day agisce solo in base a direttive dall’alto.
Si insiste ad ignorare la storia dei partiti popolari. La quale ci insegna che, sempre, dopo ogni grande manifestazione popolare cattolica, è sorto, "per caso", un partito che sosteneva di rappresentarlo e che ha portato il movimento nel baratro.
Così è stato nel 1919, con la nascita del Partito Popolare di Don Sturzo a seguito della clamorosa vittoria elettorale del Patto Gentiloni. “La costituzione del Partito popolare equivale per importanza alla Riforma germanica”, scrive Gramsci, poiché "Il cattolicismo democratico fa ciò che il comunismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida".
Così accadde anche dopo il formidabile risultato dei Comitati Civici nel 1948, subito imbrigliato dalla Democrazia Cristiana, la quale, nel corso degli anni Cinquanta, costituirà 11.000 sezioni di partito per esautorare i Comitati Civici che operavano dalle parrocchie.
Anche oggi la spaccatura voluta da Adinolfi e Amato sembra avere la stessa finalità: non è infatti riducibile al bisogno psicologico di onori mondani, né alla brama di improbabili poltrone, né giustificabile con la mera accidia di chi sceglie la soluzione facile della "porta larga", pur avendo anche tutte queste tre motivazioni.
Un terzo fattore su cui riflettere è dato dalla natura stessa del Family Day, cioè di un movimento nato da una reazione popolare, in parte spontanea, di fronte all'orrore di alcune leggi contro natura.
Una reazione, per sua natura, più "emozionale" che strutturata, che occorre far crescere da spontanea a organizzata.
Il processo di scristianizzazione dell'Occidente è plurisecolare e ha molte sfaccettature. La reazione costituita dal Family Day su qualche punto concreto lo respinge. Per esempio, è contro i "matrimoni" gay, ma forse accetterà lo Stato assistenziale. In qualche caso, giungerà anche a capire il totalitarismo educativo statale.
Si tratta di una resistenza, senza dubbio. Ma di una resistenza su di un punto particolare, che non risale ai princìpi, poiché e fatta tutta di abitudini e di impressioni. Resistenza, proprio per questo, senza grande fondamento, che morirà con l'individuo, e che, nel caso si dia in un gruppo sociale, presto o tardi, con la violenza o con la persuasione, in una o più generazioni, la Rivoluzione nel suo corso inesorabile smantellerà.
Oggi più che mai dobbiamo chiederci “Che fare?”.
Il Family Day può fare ben poco nei confronti del cambio di priorità nella pastorale ecclesiale.
Rispetto ai partiti, invece, può e deve fare molto di più: a cominciare dal meditare le parole di Gramsci sui popolari, perché senza consapevolezza si continueranno a ripetere gli stessi errori del passato. Quindi cercare chi nella storia è riuscito a servirsi dei partiti senza diventarne servo.
Ma è sul terzo fattore, sulla reazione emozionale, che il laicato deve fare ogni sforzo: preoccupa che, a Verona, gli interventi siano stati principalmente emozionali, talvolta da comizio. Potrebbe significare che non si è ancora capita la gravità e profondità della crisi: pensare che la strategia consista nel continuare a raccogliere senza seminare è ciò che ci ha precipitato dove siamo.
Su quest’ultimo punto, altre parole di Mons. Negri ci possono aiutare: "In questo mondo dove tutto si dissolve e la solitudine domina la vita dei singoli e della società, condannandola a un processo segnato dalle diverse patologie [...] bisogna decidersi a non puntellare l’impero. I primi cristiani non puntellarono l’impero ma fecero semplicemente un’altra cosa: fecero il cristianesimo".
San Giovanni Paolo II aveva certamente previsto quanto sarebbe potuto succedere quando ha deciso di lasciarci due strumenti per apprendere le ragioni della nostra fede e del nostro agire civico: il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.
Occorre perciò capire chi siamo e come siamo fatti, pianificare, pensare a forme organizzative, comunicare meglio e di più.
Occorre certamente dedicare molto più tempo a pensare l'azione. E a far capire l’efficacia dei cinque minuti ogni giorno rispetto alla grande manifestazione annuale di piazza.
Occorre, soprattutto, ripartire dalle fondamenta, ricostruire il Family Day nelle nostre comunità locali, tenendoci aggrappati al Catechismo e al Compendio, senza se e senza ma.
David Botti
3 dicembre 2016, Festa di San Francesco Saverio patrono delle missioni
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“Rivolgo un appello finale al voto cattolico e a tutte le famiglie attente al bene comune, affinché domenica si rechino alle urne e votino NO per respingere questa riforma costituzionale”
REFERENDUM. GANDOLFINI: “DOMENICA ALLE URNE PER IL NO. DIFENDIAMO LA SOVRANITÀ E LA RAPPRESENTANZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE”
“Rivolgo un appello finale al voto cattolico e a tutte le famiglie attente al bene comune, affinché domenica si rechino alle urne e votino NO per respingere questa riforma costituzionale”. Afferma il presidente del Comitato promotore del Family day, Massimo Gandolfini.
In questi mesi il ‘Comitato famiglie per il NO’ ha svolto centinaia di incontri in tutta Italia per sostenere un NO motivato e ragionato.
“Siamo convinti – spiega Gandolfini – che la disintermediazione e l’accentramento del potere in un’unica direzione nega di fatto la democrazia e il bilanciamento dei poteri. L’annullamento dei corpi intermedi, primo fra tutti la famiglia, allontana la partecipazione del popolo alle decisioni che lo riguardano”.
“Anche quest’ultima settimana è passata, senza che Renzi ci degnasse di una risposta rispetto al nostro invito ad un confronto pubblico sul merito della riforma – prosegue Gandolfini -. A noi non resta che esortare tutte le persone di buon senso a rigettare il nuovo assetto istituzionale disegnato da Renzi, Boschi e Verdini, che, anche a causa della riforma elettorale, accentra il potere nella figura del premier e subordina la sovranità del parlamento italiano ai diktat provenienti dall’Unione Europea”.
“Un sistema che verrà utilizzato, come dicono gli stessi vertici del Pd, per completare la trasformazione del tessuto sociale italiano. Le unioni civili sono infatti solo il capo fila di una politica tesa all’approvazione delle adozioni per tutti; del suicidio assistito; dell’estensione della procreazione artificiale a coppie gay e single; della regolamentazione dell’utero in affitto, delle leggi liberticide sulla omo-fobia e della legalizzazione delle droghe”, conclude Gandolfini.
Roma, 1 Dicembre 2016 Comitato Famiglie per il NO
Ufficio Stampa 393.8182082
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Grazie al Governo Renzi la famiglia è stata ripetutamente colpita dal punto di vista legislativo. Anche le amministrazioni comunali e regionali del Partito Democratico, sostenuto dal NCD di Alfano, colpiscono il contesto socio-culturale attuale, dove il gender, se non entra dalla porta, prova a intrufolarsi dalla finestra.
Gender-follia? Arriva “LegGendeR metropolitane” di Renzo Puccetti
Con oggi, 15 settembre, il gender torna in libreria nella penna del medico e bioeticista – collaboratore di ProVita – Renzo Puccetti, che ha dato alle stampe “LegGender metropolitane“. Un testo denso, rigoroso, che lascia poco spazio ai pensieri e si ancora molto sui dati oggettivi e scientifici, a dispetto dello stile di scrittura accessibile a tutti.
“LegGender metropolitane” è dunque un libro tutto da leggere, soprattutto nel contesto socio-culturale attuale dove il gender, se non entra dalla porta, prova a intrufolarsi dalla finestra. Ma è da leggere anche rispetto a tutti gli altri temi che vengono trattati dall’Autore: l’omosessualità, il matrimonio gay, l’omofobia, la famiglia, il bisogno dei bambini ad avere una mamma e un papà…
ProVita ha intervistato il dottor Puccetti.
Partiamo da una domanda semplice e complicata nello stesso tempo: perché hai scritto questo libro e a quale pubblico intendi rivolgerti?
Se volessimo usare una sola parola direi “soffocamento”. Gli Stati Uniti sono la nazione che anticipa tendenze e processi che poi vediamo anche da noi qualche anno dopo. In USA è in atto una vera e propria caccia alle streghe da parte degli LGBTQ e dei loro alleati. Ogni manifestazione di dissenso ai loro dogmi, ogni atto coerente con la legge naturale e persino il semplice buon senso è tacciato di omofobia, bigottismo, intolleranza, fondamentalismo. Persino esercitare l’educazione sui figli non sfugge alle maglie del maccartismo arcobaleno. Quello che è successo al meeting di Rimini lo scorso anno a padre Carbone e a me e la censura subita dall casa editrice dell’Ordine dei Domenicani è solo un assaggio della tempesta che si sta preparando. A chi intende impegnarsi nella resistenza ho voluto fornire un “arsenale” argomentativo che comunque potesse essere facilmente fruibile anche da tutti coloro che, pur non essendosi mai occupati di queste questioni, vogliono avere un quadro non preconfezionato e coincidente con la narrazione organizzata dagli architetti del pensiero unico lobotomizzato; queste persone intellettualmente libere e curiose in America li chiamano i cercatori del vero.
Parliamo di gender, ideologia che sostiene che il sesso biologico sia irrilevante e che è totalmente sbilanciata sul dato culturale. Su quali basi scientifiche questa teoria è infondata?
Che la cultura eserciti un ruolo rilevante nella distinzione tra comportamenti maschili e femminili è un dato di fatto che nessuno si contesta, nessuno scienziato è un puro determinista biologico. Tuttavia la teoria gender, ormai convertitasi in ideologia, postula ciò che è smentito da una montagna di evidenze scientifiche: il comportamento umano è indifferente al sesso genetico, ogni differenza tra attitudini e comportamenti maschili e femminili è una mera costruzione sociale. In realtà il nostro cervello è zeppo di recettori per gli ormoni sessuali che non si sa bene cosa ci starebbero a fare se gli stessi ormoni non servissero a nulla, sappiamo che il cervello maschile mostra differenze anatomiche da quello femminile e funziona in maniera differente. Sappiamo che esiste in ogni cervello un mosaicismo, cioè tratti maschili e femminili, che però non annullano le differenze. Sappiamo che alcuni comportamenti si sono dimostrati differenti in base al sesso già dal primo giorno di vita. Le differenze comportamentali al gioco sono state rinvenute nelle scimmie e sfido chiunque a dimostrare che sia stata una scimmia istruttrice ad insegnare alle femmine del gruppo a giocare con le bambole e ai maschi con le automobiline.
Dal gender agli stereotipi di genere il passo è breve. Spesso questi vengono concepiti nella loro totalità come negativi, eppure – se si analizza la questione con onestà intellettuale – alcuni stereotipi hanno la funzione positiva di semplificare la realtà, rispondono a dati oggettivi e sono da legare al fatto che perfino il nostro cervello è sessuato. È corretto?
È proprio così. Vedere da lontano una persona con la gonna o il rossetto aiuta a capire che si tratta di una donna senza bisogno di chiedere di mostrare i genitali. Una delle prime funzioni degli stereotipi è quella di organizzare una risposta allo stimolo che abbia la maggiore probabilità di essere appropriata. È vero che in Scozia gli uomini portano il gonnellino, tuttavia in ogni cultura di ogni tempo è sempre esistita una differenziazione tra abiti maschili e femminili. Che maschi e femmine abbiano attitudini differenti è un dato di fatto, così come è un dato di fatto che vi siano uomini con attitudini femminili e viceversa, tuttavia l’ideologia gender vuole costringere sin da piccoli i bambini a non avere attitudini dietro il mito della neutralità.
Arriviamo ora a parlare di omosessualità: dal 1974 questa tendenza non rientra più nel DSM-III quale disturbo mentale. Ma gay “si è”, oppure “si fa”?
Non è possibile ad oggi dare una risposta. Come il professor Gonzalo Miranda una volta mi ha detto, l’attrazione erotica per le persone dello stesso sesso è una condizione misteriosa. I dati accumulati nei decenni sembrano indicare che a livello di popolazione coesistano le due componenti, mentre a livello della singola persona la quota innata e acquisita possono assumere vari livelli reciproci di rilevanza. È importante avere presente però un dato: essere non è una condanna divina a dovere essere. L’essere umano non si riduce alla propria materia, è dotato di ragione, volontà e libertà e dunque non si identifica né con le proprie azioni, né con la propria biologia. Se così non fosse non potremmo domandare all’obeso, il cui peso è tale a causa della propria genetica, di cambiare la propria alimentazione.
Non discriminare, non fare differenze: questo è quello che nel suo libro definisce «il centro della cipolla»… e che ovviamente non vale per le persone cattoliche ed eterosessuali che, nel rispetto della loro fede, non si rendono per esempio collaboratori del matrimonio gay.
Sì, è per primo padre Giorgio Maria Carbone ad avere richiamato alla mia attenzione l’omologazione, la negazione di ogni differenza quale nucleo delle istanze LGBTQ: nessuna differenza nei comportamenti sessuali, nessuna differenza tra crescere col padre e la madre o due persone dello stesso sesso, nessuna differenza tra essere maschio o femmina. Si tratta una delle tante espressioni di quel relativismo che il filosofo Francis Beckwith ha paragonato ad avere i piedi ben piantati in mezzo all’aria. Pensiamo alla procreazione: nessuna differenza tra regolazione naturale della fertilità, contraccezione, aborto e fecondazione artificiale, o pensiamo al fine vita: nessuna differenza tra ri-animazione e de-animazione eutanasica. L’unico ad essere considerato il mostro minaccioso è colui che osa affermare che una determinata azione è male e vuole vivere coerentemente con questo giudizio. Quando questa ideologia diventa legge dello Stato quello che si viene a creare è una discriminazione religiosa: lo Stato relativista sancisce quale “religio licita”, solo quelle fedi religiose che accolgono i suoi dogmi secolaristi. Il cristianesimo torna ad essere in questo modo “religio illicita“. La commissione statunitense per i diritti civili ha appena redatto un’enciclica che anatemizza il cristianesimo. Il capo della commissione ha scritto: «L’espressione “libertà religiosa” non significa altro se non ipocrisia fintanto che resta un codice per la discriminazione, l’intolleranza, il razzismo, il sessismo, l’omofobia, l’islamofobia, la supremazia cristiana, o qualsiasi forma d’intolleranza». Il candidato alla vicepresidenza della Clinton, formalmente cattolico, ha preconizzato che la Chiesa finirà per accettare le nozze gay. Beh, a sentire certi prelati la cosa parrebbe già fatta.
«Love is love»: questo motivetto viene ripetuto oramai in continuazione, secondo diverse declinazioni. Ma per fondare una famiglia non basta l’amore – che peraltro è un fattore non verificabile oggettivamente dallo Stato -, altrimenti troverebbero legittimazione la poligamia, l’incesto e altre aberrazioni simili…
Hai colto nel segno. La senatrice Cirinnà che è stata relatrice della legge al Senato, ha dichiarato di avere voluto rappresentare «l’immensa varietà di forme che l’amore e la famiglia possono avere». Stranamente in ogni Paese l’orgasmo intellettuale e legislativo volto a superare i confini del matrimonio si è però interrotto quasi subito. Ha impedito l’amore filiale, fraterno, paterno e materno, ha escluso il poliamore, l’amore intergenerazionale e quello trans-umano. Dell’immensa varietà di amori ha protetto con l’istituto giuridico delle unioni gay soltanto lo stereotipo amoroso omosessuale. Dunque delle due l’una: o quel principio di uguaglianza che è stato invocato come ispiratore della norma sarà fatto valere davvero per ogni forma di amore soggettivamente percepito come tale, oppure le unioni omosessuali saranno la prova che esiste un amore privilegiato per ragioni razionalmente incomprensibili.
Un’ultima domanda: ai bambini servono ancora una mamma e un papà, o i tempi sono cambiati?
Quello che è un dato intuitivo ed esperienzale è confermato sia dalla ricerca della psicologia evolutiva, sia dalla letteratura empirica sociologica. Se tu giorno dopo giorno metti da parte rifiuti e solo ogni tanto metti da parte una moneta, dopo un po’ avrai un *censura*ulo d’immondizia da una parte e un gruzzolo di monete dall’altra, ma l’immondizia non si trasformerà mai in monete e coprire l’immondizia con uno strato di monete non ti farà essere padrone di un tesoro. Allo stesso modo mettere insieme studi di pessima qualità formerà soltanto una catasta di ciarpame pseudoscientifico, ma non sarà mai una prova scientifica. Per quanto due persone dello stesso sesso possano accudire con zelo un bambino, gioco forza almeno uno dei due non avrà alcun legame genetico con il piccolo e altrettanto gioco forza nessuno potrà donargli il tesoro educativo racchiuso nello scrigno della complementarietà sessuale. Puoi circondare quel bambino di nonne e di zie, ma nessuna di queste potrà essere una madre. Sappiamo che l’essere umano ha una scorta di resilienza, ma non è una buona pratica confidare su di essa in maniera volontaria; gli sforzi compensatori non è detto che siano efficaci e comunque per riempire un vuoto c’è bisogno di togliere terreno da un’altra parte. La ricerca di migliore qualità attesta in parte maggioritaria che quando in casa non c’è il papà o la mamma i problemi tendono a crescere.
Grazie mille e in bocca al lupo!
Fonte: Notizie ProVita
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di SIlvana de Mari
Nel marzo del 2012 ha fatto molto scalpore un dato rivelato da Ritanna Armeni, secondo la quale la violenza sulle donne "è la prima causa di morte in tutta Europa per le donne tra i 16 e i 44 anni".
Un paio di mesi dopo Barbara Spinelli, sul Corriere della Sera, aveva fatto una rivelazione simile: "La prima causa di uccisione [morte] nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l'omicidio (da parte di persone conosciute)".
Nel giugno dello stesso anno è intervenuta sul tema Rashida Manjoo, special rapporteur dell'ONU sulla violenza contro le donne, secondo la quale "[...] in Italia la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni di età".
A queste affermazioni se ne sono aggiunte innumerevoli altre.
La signora Boldrini parla di strage continua e appende drappi rossi.
La signora Cirinnà ha affermato a un corso di aggiornamento dell'ordine dei giornalisti ( settembre 2016) che padre e madre sono uno stereotipo e un pregiudizio e ha aggiunto che le donne assassinate da un uomo sono più numerose di quelle morte di cancro ( 77000).
Dio , in cui credo profondamente, mi dia testimonianza del fatto che la mia stima per le capacità cognitive delle suddette signore sta a un granellino di sabbia come il granellino di sabbia sta all'universo, ma nemmeno loro possono credere alla veridicità di questi numeri.
Per coloro che si siano persi le puntate precedenti le donne assassinate ogni anno sono circa 130, gli uomini assassinati 400, gli uomini suicidi circa 3200, non mille come ho scritto io sbagliando in un precedente post.
Le donne suicide sono circa 800 e il suicidio è doppio nelle donne sole.
L'emergenza di questo paese quindi è il suicidio, dovuto alla spaventosa situazione economica che strangola la gente, che obbliga uomini perbene a essere disoccupati, donne che vorrebbero essere madri a non osare farlo, famiglie a perdere la casa per pignoramento, imprenditori costretti a fallire per eccesso di crediti, anziani a cercare qualcosa nei cassonetti.
A sempre più pratiche mediche è stato tolto il carattere di gratuità: una di queste è la terapia antalgica per metastasi ossee e l'altra è la risonanza magnetica anche nei bambini a rischio di idrocefalo.
L'emergenza è il suicidio di un paese morto, assassinato e venduto che sta chiaramente morendo senza un futuro.
Perché hanno tutti mentito?
Perché si sono tutti inventati che l'emergenza è il femminicidio e i medici obiettori?
Per distrarre l'attenzione dal suicidio, dalla disperazione, dall'impossibilità di vivere, dai 12 miliardi di euro spesi in un'accoglienza indiscriminata che sta causando disastri e morti in mare, certo, ma non è solo questo.
Un regime per poter diventare in tutto e per tutto dittatoriale , anche a fronte di un'ancora apparenza di democrazia elettiva, deve scardinare di un popolo il passato e l'istituzione familiare.
Contro il femminicidio la vera sfida è il cambiamento culturale, hanno affermato i geni: quindi la nostra cultura non va bene, va cambiata, la scuola, gli insegnanti, persone che eseguono le circolari del ministero spiegheranno il maschile e il femminile: l'etica dei figli amministrata dallo stato, mi viene la nausea solo a scriverlo.
Quella che deve saltare è l'istituzione familiare, gli uomini che amano le donne, le donne che amano gli uomini.
Una volta saltata la famiglia un popolo diventa spazzatura, lo zerbino.
La vera violenza contro le donne è il suicidio.
La vera violenza contro le donne è una tassazione talmente atroce che impedisce di diventare madri.
La vera violenza contro le donne è la disoccupazione dei loro uomini.
La vera violenza contro le donne sono i miserabili 4 mesi di congedo per maternità, il dover tornare al lavoro quando il piccolo ha 4 mesi e ha un disperato bisogno di mamma.
La vera violenza contro le donne è la pornografia, la vera violenza contro le donne è la mostruosa nauseante filiazione di Vendola e Lo Giudice.
Giù le mani dai nostri uomini.
Giù le mani dalle nostre famiglie.
Giù le mani dai nostri figli.
Andate al diavolo.
da
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L’ideologia gender è contro l’uomo
La teoria gender si propone come passaggio dalla dualità sessuale (l’essere uomo maschio o femmina) al concetto di “genere”, termine aperto che abbandona la bipolarità sessuale degli esseri umani proponendo cinque generi: maschile, femminile, ermafrodita, omosessuale, transessuale. I sostenitori di questa teoria sostengono che le differenze tra uomo e donna siano il prodotto di culture e di epoche determinate, e che sia l’ambiente socio-culturale ad assegnare alle persone la loro identità sessuale.
La teoria gender sostiene infatti che l’identità sessuale della persona non è un dato naturale stabile e biologicamente determinato. Decide di non parlare di “sesso”, maschile e femminile, ma di genere, imponendolo come dato mutevole, come ruolo sociale fluido, dipendente dalla cultura, dalla società, ma ancor più dalla propria scelta individuale e dalla propria sensibilità. La femminilità e la mascolinità non sarebbero altro che costruzioni culturali indotte. Non ci sono le donne e gli uomini, esistono solo delle identità neutre che possono decidere, anche più volte nel corso della vita, l’identità sessuale da assumere.
Perché questa violenza contro la natura umana, contro la propria natura?
Le radici di questa battaglia e della teoria gender si trovano in un femminismo radicale, come anche in altre correnti politiche e filosofiche, che accusano la dualità antropologica umana -l’essere uomo e donna- d’esser la causa e l’origine dell’infelicità umana: bisognerebbe liberarsi di tutte le differenze, quindi anche quelle tra uomo e donna, per stabilire un’autentica uguaglianza tra gli esseri umani ed esser così liberi e felici.
Nasce l’idea dell’uguaglianza e di una libertà modellate sul corpo maschile, cioè su un corpo che non genera. Si tratta di una svalorizzazione o addirittura di una negazione della differenza sessuale, per assumere come oggetto del desiderio il ruolo pubblico dell’uomo, e come scopo politico l’assoluta parità sessuale e l’emancipazione.
Spiega la storica Lucetta Scaraffia: “La teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea che l’uguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della felicità. Negare che l’umanità è divisa fra maschi e femmine è sembrato un modo per garantire la più totale e assoluta uguaglianza- e quindi possibilità di felicità- a tutti gli esseri umani”.
L’ideologia gender nasce per tradurre operativamente questo pensiero: l’uguaglianza dei generi maschile e femminile.
Non la parità dei sessi, non la pari dignità di tutti gli uomini, bensì l’appiattimento e la cancellazione delle differenze naturali!
Le paladine del gender danno vita quindi ad un’agenda politica mirata a radicali mutamenti nella struttura della parentela, ai dibattiti sul “matrimonio” gay, alle condizioni per l’adozione e all’accesso alla tecnologia riproduttiva; si unisce così l’utopia della totale uguaglianza all’attraente possibilità di vivere secondo una scelta individuale senza limiti. Tanto che l’ultima frontiera sarà il genderQueer, ovvero la rivendicazione della libertà di non identificarsi con alcun genere o con più generi contemporaneamente o successivamente.
Si vuole una rivoluzione dell’ essere umano! Si vuole lo stravolgimento del suo rapporto con la propria stessa natura! Chi può credere che questo rifiuto di sé apra alla felicità?
E difatti l’azione dei teorici del gender non è condotta alla luce del sole, come dichiara Dale O’leary, medico, giornalista, scrittrice e ricercatrice in quest’ambito: “L’Agenda di Genere si muove tra le comunità non come un grande veliero, ma come un sottomarino determinato a rivelare il meno possibile di se stesso”. Quando Dale O’leary assistette alle Conferenze internazionali dell’ONU del Cairo nel 1994 e di Pechino nel 1995, scrisse: “L’ONU è popolato da persone che credono che il mondo abbia bisogno di meno gente; più piacere sessuale; l’eliminazione delle differenze tra uomo e donna; niente madri a tempo pieno. Per coloro che vedono il mondo in questa prospettiva, la conferenza di Pechino è stato un successo clamoroso. A Pechino si sono convinti di aver ricevuto il mandato di imporre la loro agenda a ogni famiglia nel mondo. Non sono abbastanza pazzi, tuttavia, da credere di poter vendere questa agenda alla gente comune. Pertanto l’Agenda di Genere viene proposta dentro un pacco farcito di retorica sull’uguaglianza e sui diritti, in cui si parla anche di famiglie, di salute e di giustizia”
Tutto questo si sta realizzando sotto i nostri occhi!
Si vuole il superamento dell’“eterosessualità obbligata” per la creazione di un uomo nuovo, cui va riconosciuta la libertà di scegliere tutto di se stesso, la libertà di dare sfogo alla propria identità sessuale, alla propria libido e desideri egoisti, indipendentemente dalla sua natura, dalla sua sessualità biologicamente definita. E se la doppia sessualità viene abbandonata quale parametro ontologico dell’uomo, allora qualsiasi deviazione sessuale rispetto all’eterosessualità va intesa come normale: al momento si parla ancora di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, ma una volta normalizzate queste deviazioni si presenteranno altri scenari, e saremo costretti ad accettare pedofilia e poligamia.
Si tratta di mera ideologia: l’uomo non può essere svilito a tal punto.
La sessualità non può essere considerata un accidente, qualcosa che è aggiunto all’identità della persona, bensì è fondante l’identità della persona stessa.
Noi non nasciamo persona per poi assumere una sessualità, ma noi siamo maschi o femmina dal momento del concepimento: dal punto di vista genetico sin dal concepimento tutte le cellule dell’uomo, che contengono i cromosomi xy, sono differenti da quelle della donna, che contengono tutte i cromosomi xx. Il sesso genetico comporta tutta una serie di modificazioni a livello gonadico, fenotipico e anatomico, che fa sì che ogni singola cellula del corpo umano sia o maschile o femminile.
E’ quindi possibile affermare su basi empiriche e scientifiche che la differenza sessuale esiste in natura, e che non è frutto di una fittizia e arbitraria costruzione culturale. Sono proprio le differenze sessuali presenti negli individui che ci permettono di distinguere la realtà femminile da quella maschile. La dualità tra i sessi è un dato naturale. Ed è uno dei dati fondamentali dell’essere umano, nessuna corrente egualitaria potrà misconoscerlo. La dualità sessuale è il modo specifico dell’uomo di vivere nel mondo e di rapportarsi agli altri: secondo la propria mascolinità o la propria femminilità.
La dualità sessuale, contrariamente a quanto propinato dall’ideologia gender, non contraddice affatto la parità fondamentale tra i due sessi. Infatti uomo e donna hanno in comune la stessa natura umana: la dualità uomo-donna è una completa parità, se si tratta della dignità umana, ed una meravigliosa complementarietà se si tratta delle proprietà e dei compiti legati alla mascolinità e alla femminilità dell’essere umano.
Neanche le differenze psicologiche si possono annullare o attribuire completamente agli influssi socio-culturali. Non è la cultura che da sola costituisce la differente psicologia uomo-donna. La cultura può certamente accentuare certi ruoli, rafforzare alcuni stereotipi e indurre certi pregiudizi, ma non può creare la psicologia maschile e femminile.
Nemmeno nel caso di quei caratteri della mascolinità e femminilità dipendenti da una forma culturale si può dire che essi siano privi di valore. Tutte le culture hanno una divisione dei ruoli e di compiti, funzionale e necessaria. Quello che è non desiderabile non è la complementarietà dell’uno verso l’altro, ne’ l’alterità, bensì l’imposizione di una presunta superiorità di uno sull’altro, ingiustamente derivata dalle differenziazioni di ruoli. Lo stesso termine “ruolo” distorce il problema, dato che per il suo uso rimanda a qualcosa di artificialmente imposto alla persona; ma se lo sostituiamo con il termine più adatto “vocazione”, capiamo che in ciò che noi chiamiamo “ruolo” femminile e maschile, vi è qualcosa di profondamente autentico, personale, non artificiale, una chiamata ad essere ciò che si è. La persona è uomo o donna, e la sua vocazione personale nel mondo non potrà realizzarsi armonicamente se non accettando e valorizzando questo determinato e concreto modo di essere.
Vogliamo difendere un modello antropologico che valorizzi la complementarietà dei sessi, capace di spiegare che la distinzione uomo/donna non è un’etichetta fittizia. Solo così potremo ritrovare nella natura umana il fondamento dell’uguaglianza tra uomini e donne, contro il neutrismo sessuale imposto dall’ideologia gender, che non libera l’uomo ma lo imprigiona e lo svilisce!
Da La manif pour tous Italia
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I vescovi italiani non hanno dubbi: gli attivisti gay entrano nei piani pastorali
Se sulla esortazione apostolica Amoris Laetitia quattro cardinali hanno espresso cinque “Dubia” (dubbi), vale a dire delle domande di chiarimento che vanno al cuore della fede cattolica, chi non ha assolutamente dubbi è la CEI, la Conferenza episcopale italiana.
Lo scorso fine settimana ha radunato ad Assisi oltre 500 responsabili diocesani di pastorale familiare per riflettere sulla Amoris Laetitia e individuare le linee pastorali in materia.
In realtà per i convenuti c’era ben poco da riflettere, solo prendere atto di ciò che i responsabili Cei avevano già deciso. E dietro tanti discorsi fumosi – così almeno appaiono dal resoconto della tre giorni pubblicato ieri da Avvenire – è chiaro che gli obiettivi sono due, i soliti: comunione ai divorziati risposati e promozione dell’omosessualità.
Per capire l’antifona bastano le poche citazioni riportare da Avvenire. Si deve passare dalla Familiaris Consortio alla Amoris Laetitia, dice ad esempio un poetico don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio famiglia della Cei: «Con le stesse note è stata scritta una musica completamente nuova». Tradotto vuol dire: scordatevi san Giovanni Paolo II. Monsignor Vincenzo Paglia, neo presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II sulla famiglia cade invece in un umorismo involontario quando dice – lui che ha ancora qualche guaio con le procure – che «non siamo più schiavi della legge ma figli della libertà della Grazia».
E poi c’è il teologo moralista Basilio Petrà secondo cui la «tradizionale posizione cattolica» non consiste nel «compiere sempre la norma come si dà oggettivamente», ma nel «fare ogni momento il bene che appare possibile e doveroso in coscienza»; così si «rimane in grazia di Dio, anche se oggettivamente non ci fosse coincidenza con la norma». Traduciamo in immagini: il comandamento dice “non commettere adulterio”, ma se in un dato momento non mi trattengo e mi concedo un’avventura o un’altra relazione resto comunque in grazia di Dio se ritengo che questo sia il massimo che riesco a fare. E lo stesso dovrebbe valere per il furto, l’omicidio e via dicendo. Una concezione che così espressa potrebbe creare qualche problema perfino ai protestanti, e che sicuramente scandalizzerebbe qualsiasi buon cattolico che abbia studiato appena un po’ di catechismo; ma per il professor Petrà questa è la tradizionale posizione cattolica. Complimenti.
Ma la questione più scottante riguarda l’omosessualità, ovvero la presentazione di testimonianze e linee pastorali di accoglienza che vanno nella esclusiva direzione dell’accettazione non delle singole persone, ma dell’omosessualità come tale, vissuta in realtà di coppia. E guarda caso a fare da mattatore insieme ad altri “testimoni” – di cui meglio riferisce Repubblica – c’era ancora quel padre Pino Piva, gesuita, già protagonista di una trasmissione alcuni mesi fa su Tv2000 che aveva scandalizzato molte persone per i suoi contenuti sfacciatamente pro-omosessualità e a favore di relazioni omosessuali di coppia. Qualcuno, benevolo o ingenuo, aveva detto che quel programma all’insegna di «l’importante è l’amore» era probabilmente un incidente, un errore di qualche redattore poco avvertito. Balle, il convegno CEI di Assisi dimostra che la strada che si vuole percorrere è proprio quella di legittimare i rapporti omosessuali come tali, una semplice variante della natura umana. E del resto, non è lo stesso Avvenire che per mesi – discutendo la legge Cirinnà – ha chiesto il riconoscimento delle unioni omosessuali basta che non siano parificate alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna?
Sia ben chiaro: qui non è in discussione l’accoglienza per la persona con tendenze omosessuali, che nella Chiesa – checché ne dica Avvenire e qualche papavero CEI – c’è sempre stata (chiedere ai tanti preti che passano ore e ore in confessionale). Ciò che prima non era accettata come normale e proponibile è l’omosessualità in quanto tale. E invece oggi è proprio questo che sta proponendo la CEI, e in tante diocesi ormai c’è una pastorale che consiste nell’incoraggiamento della associazioni Lgbt cristiane, che poi chiamano accompagnamento. Ma in questo modo si fa solo attivismo gay, non certo il bene delle persone con tendenze omosessuali. Tanto è vero che la CEI si guarda bene dall’invitare a incontri come quello di Assisi quelle esperienze di accompagnamento – vedi Courage o l’Associazione Lot di Luca di Tolve – che propongono percorsi che partono dal riconoscimento della sofferenza insita nella condizione di omosessualità, in sintonia con quanto anche si trova nel Catechismo. Ma figurarsi se di questi tempi può essere proponibile il Catechismo: direbbe monsignor Paglia che «non siamo più schiavi della legge».
(Riccardo Cascioli per
[www.lanuovabq.it] )
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Il PM, terminate le indagini e non avendo ritenuto sussistenti gli elementi per esercitare l’azione penale, ha chiesto l'archiviazione del procedimento a carico del fondatore dei Frati Francescani dell'Immacolata. Ottima notizia.
Attendiamo ora la decisione del GIP e speriamo che accolga la richiesta dell'Ufficio del Procuratore per vedere definitivamente prosciolto p. Manelli.
E' stato scritto a proposito:
"Il castello di accuse contro Padre Manelli era assurdo ed inverosimile.
Paradossale, incongruente e perciò falso.
Tuttavia è stato difeso da pochi, e dentro la Chiesa nessuna parola si è alzata da un solo Vescovo a sua difesa, almeno per chiedere verità e giustizia.
Appariva agli occhi del clericalismo dominante un reietto.
E' stato difeso dal Signore e dalla Madre di Dio, l'Immacolata che il padre Manelli immensamente ama, che hanno istillato nei loro figli, fedeli cattolici di tutto il mondo, laici e semplici religiosi e sacerdoti, la difesa del verità e della giustizia e la riconoscenza verso la Congregazione a cui ha dato vita.
A volte è sembrata una causa persa, di fronte alla macchina da guerra ordita contro di lui ed i FFI.
Bisognerà riflettere su chi e cosa ... ha ordito questa macchinazione e perché".
Quando finirà la persecuzione contro i frati dell'Immacolata?
Preghiamo per " I veri sacerdoti - P.Manelli lo è - che sono malvisti e di peso nell'attuale temperie storica, nella Chiesa invasa, in punti chiave, dai modernisti e da chi ha fatto e intende portare avanti il compromesso col mondo e con i suoi poteri forti ".
"Non vorrei mai che alcuno pagasse per le calunnie e per il dolore inferto a P.Manelli, ai Frati e alle Suore Francescani dell'Immacolata : vorrei che se ne pentisse, ad maiorem Dei gloriam, non a gloria di Padre Manelli"
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PADRE MANELLI: ARCHIVIATE LE ACCUSE CONTRO IL FONDATORE DEI FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA
di Marco Tosatti
Archiviate le accuse contro padre Stefano Manelli, il fondatore dei Frati Francescani dell’Immacolata.
Dopo circa un anno di indagini, il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Avellino, Sost. Dott. A. Del Bene, ha chiesto l’archiviazione del
procedimento nei confronti del religioso, il cui ordine é ancora commissariato, senza che sia stata data dopo anni, una motivazione valida da parte della Congregazione per i religiosi.
Padre Stefano Manelli, nel recente passato era stato oggetto di una campagna di stampa particolarmente virulenta, e che sembrava in realtà mossa e ispirata da qualcuno all’interno del suo ordine religioso.
Accuse a effetto, dichiarazioni scandalistiche di ex suore, perfino il sospetto di un assassinio; la saga dei Francescani dell’Immacolata non si era fatta mancare nulla, e c’era stato nei mass media chi aveva seguito forse con troppo entusiasmo e senza grande spirito critico la marea interessata delle accuse.
Adesso che la magistratura, con la richiesta di archiviazione, fa giustizia della campagna che potrebbe essere giudicata diffamatoria, emerge che il fondatore dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata, è stato ingiustamente accusato di aver leso l’integrità fisica e morale delle suore del convento di Frigento compiendo atti di violenza sessuale e di maltrattamenti nei confronti delle stesse.
Le persone a lui vicine commentano che “L’esito delle indagini ha fatto chiarezza sulle “ipotesi di accusa” restituendo giustizia e dignità a Padre Stefano Mannelli da tempo oggetto di calunniosi e diffamatori attacchi amplificati dagli organi di stampa”.
E ora che la magistratura si è espressa, che sembra che padre Manelli non abbia stuprato, maltrattato e ucciso nessuno, torna la domanda, da porre alla Congregazione per i religiosi, al suo Prefetto, e al suo Segretario: che cosa ha fatto padre Manelli; e che cosa hanno fatto i Francescani dell’mmacolata per essere trattati con tanta durezza?
La cronaca, nella sua ironia, ha voluto che la notizia dell’archiviazione giungesse proprio alla it.)fine dell’anno della Misericordia…